CROI 2019

XXVI Conferenza sui Retrovirus ed Infezioni Opportunistiche 4-7 MARZO 2019

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    www.croiconference.org

    Il Croi ( Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections ) la più importante conferenza annuale si terrà dal 4 al 7 marzo.
    Cercheremo di seguirlo e riportare gli argomenti più importanti che si discuteranno in quei giorni.

    Qui il programma in pdf
    http://www.croiconference.org/sites/defaul...information.pdf
     
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    Al CROI si è parlato di un secondo caso di remissione dall'HIV.

    Dopo Timothy Brown, il paziente tedesco, ora è la volta del "london patient" che ha ricevuto un trapianto di midollo osseo da un donatore con una particolare mutazione. Il virus al momento sembra essere scomparso, ma ancora non si azzarda ad usare la parola "guarito".

    https://scienze.fanpage.it/aids-cancellate...-caso-al-mondo/

    www.nytimes.com/2019/03/04/health/...ng-news&ref=cta

    EDIT: sia il paziente tedesco, che quello inglese oltre all'HIV avevano sviluppato delle gravi formi di leucemia, quindi in ogni caso necessitavano di un trapianto.
    La scelta di usare donatori con una particolare mutazione è giusta in questo senso, ma il trapianto non rappresenta la cura per HIV.


    Edited by kurtisit - 5/3/2019, 12:24
     
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    La parola ‘guarigione’ è più pertinente al linguaggio giornalistico, anche di livello, che non a quello degli scienziati. Prima di tutto, non è pensabile utilizzare un trapianto di midollo come terapia per l’AIDS. I virus dell’HIV-1 inoltre possono utilizzare anche un’altra porta per entrare nelle cellule, la cosiddetta X4, e in questo caso dunque, la mutazione CCR5 delta32 non sarebbe più protettiva al 100%. Secondo gli esperti, anche dopo aver apparentemente debellato l’infezione da HIV-1, attraverso un trapianto di midollo da donatore CCR5 delta5, basterebbe infatti la presenza di un piccolo numero di virus ‘X4’ per avere una ‘ricaduta’ di AIDS. Ed è il motivo per cui il paziente di Berlino, il signor Brown, anche dopo la sua sbandierata ‘guarigione’, sta continuando a prendere delle terapie per prevenire un’infezione da HIV.
     
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    Ben detto Ares, il tropismo di HIV è ben noto e gli esperti lo sanno e ci vanno cauti.
     
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    (ma il trapianto non rappresenta la cura per HIV.)

    Secondo me ma anche secondo tutti non è certo una cura, si possono confermare dei percorsi di studio :D
     
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    Citazione: https://mobile.ilsole24ore.com/art/tecnolo...obox=1551805225

    Intervista ad Antinori dello Spallanzani


    Riporto un estratto


    SCIENZAL’INTERVISTA AD ANDREA ANTINORI
    Hiv, l’esperto: terapia genica decisiva per la ricerca contro l’Aids

    La scienza ha trovato una nuova traccia per aprire fronti di ricerca probabilmente decisivi nella guerra all'Aids. Dopo un primo caso di remissione dell'Hiv registrato in un paziente di Berlino dieci anni fa in seguito a un trapianto di midollo, i ricercatori dello University college e dell'Imperial college di Londra, guidati dal professor Ravindra Gupta segnalano al mondo un secondo caso: quello di un «paziente londinese» - sieropositivo dal 2003 e dal 2012 in terapia antiretrovirale - con un linfoma di Hodgkin non responsivo alla prima linea di chemioterapia, che è stato per questo sottoposto a trapianto di midollo allogenico (da donatore) con assenza del corecettore CCR5, quindi resistente al virus.

    «Il virus del paziente londinese - spiega Andrea Antinori, direttore dell'Uoc Immunodeficienze virali dell 'Istituto Nazionale per le Malattie Infettive “Lazzaro Spallanzani” (Inmi) di Roma, che si trova a Seattle in attesa della presentazione del caso, prevista per le 20:45 ora italiana - aveva un tropismo R5, ovvero che utilizza il corecettore CCR5 per infettare le cellule. Il risultato, dopo l'attecchimento del midollo trapiantato, è che il paziente ha acquisito una resistenza naturale all'infezione, e questo fa sì che non vi siano - dopo 19 mesi dalla sospensione della terapia antiretrovirale, che non sono tantissimi ma non sono neanche uno scherzo - tracce di replicazione del virus Hiv. Il caso di Londra presenta forti analogie, pur con alcune differenze, con il paziente di Berlino, anche lui trapiantato con midollo da donatore con delezione omozigote del CCR5 e in cui l'Hiv è in remissione spontanea da più di 10 anni. Due indizi non sono ancora una prova, ma sono senza dubbio una coincidenza da approfondire».

    Allora si parla di una speranza scientificamente fondata?
    L'aspetto interessante è proprio l'analogia con il paziente di Berlino. Il fatto che gli unici casi di remissione spontanea del virus, senza i farmaci, sono avvenuti con lo stesso meccanismo. Però attenzione: non è pensabile che noi trapiantiamo tutti i pazienti. Non può passare in maniera irresponsabile questo messaggio. Il paziente ha ricevuto un trapianto di midollo perché aveva un tumore. E questo ha innescato quella che in gergo si chiama cura funzionale (che consente di “silenziare” il virus riducendolo a livelli estremamente bassi nell'organismo e rendendolo pertanto “innocuo”, ndr) grazie alla quale il virus, sospesa la terapia farmacologica, non si replica più.

    Questa vera e propria “cura” indica quindi che va percorsa la strada della terapia genica, mirata a modificare in modo sostanziale il genoma umano in modo che l'organismo diventi resistente. Se gli unici due casi, in più di 30 anni, in cui casualmente c'è stata una remissione spontanea del virus si sono verificati perché i soggetti infetti hanno cambiato una piccolissima parte del loro corredo genetico, vuol dire che questa è la chiave per replicare lo stesso risultato su larga scala.


    Quindi, va ribadito, il trapianto non è la soluzione.

    Assolutamente no. Siamo di fronte a un modello biologico da studiare per arrivare a una procedura sicura - il trapianto di midollo non lo è affatto - usando la tecnologia genica o altre tecniche molecolari. Il messaggio scientifico è questo. È un lavoro serio, che sarà pubblicato su Nature e che rappresenta una traccia per aprire nuovi fronti di ricerca sull'Aids, probabilmente decisivi.


    Qualcuno sta già lavorando su questo fronte?

    C'è molta ricerca, soprattutto accademica, che sta percorrendo la strada della cura funzionale. Con approcci diversi. L'idea è sempre la stessa: io sospendo la terapia e utilizzo dei sistemi per cui l'organismo controlla da sé l'infezione. Le vie sono tre. Posso potenziare il sistema immunitario Hiv specifico, la risposta anticorpale, ovvero gli anticorpi neutralizzanti, che normalmente ci sono nel corpo ma che sono prodotti in modo insufficiente. Un secondo approccio è quello cosiddetto “shock and kill”, che finora non ha dato risultati molto promettenti, in cui si tira fuori il virus dalla fase di latenza nel dna delle cellule per “picchiarlo” con antivirali. Ma è una tecnica molto rischiosa. Un'ultima tecnica è quella di cui stiamo parlando oggi. Una terapia genica che serve a modificare l'assetto genetico delle cellule per renderle meno propense a essere infettate dal virus. Quindi si tratta di interrompere nell'organismo, non nel virus, il meccanismo di infezione.


    Che tempi ci sono?

    Non è prevedibile. Non bisogna sbagliare strada e concentrare le risorse su quella giusta. La ricerca è forse più istituzionale , rispetto al fronte farmaci, dove prevalgono gli investimenti privati.


    Siamo lontani dal mercato?

    Molto lontani. Siamo in fase pre-clinica. Molto precoce. Ma si sta muovendo parecchio. E mi sento ottimista. Casi come questo di oggi possono rappresentare un'accelerazione. C'è molta ricerca e molta attesa. Le idee in campo ci sono. Non si brancola nel buio.


    A che punto è la presa in carico dei pazienti con le terapie attualmente disponibili?

    Abbiamo più di 20 milioni di persone in trattamento nel mondo, ma sono ancora poche dal momento che si stimano 37 milioni di persone viventi con Hiv. Riguardo l'Italia , tutti i pazienti diagnosticati sono in terapia. Il nostro Sistema sanitario è splendido. Trattiamo tutti. Il problema è che su 120mila casi stimati ce ne sono almeno 15mila che non sanno di essere Hiv-positivi e un terzo di queste persone sono già in fase avanzata, rischiando così di accedere tardi alla terapia. Quindi serve più informazione, prevenzione e accesso al test, che è anonimo, sicuro e rapido.

    Edited by kurtisit - 5/3/2019, 22:25
     
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    CITAZIONE (giosuè zan @ 5/3/2019, 22:17) 
    (ma il trapianto non rappresenta la cura per HIV.)

    Secondo me ma anche secondo tutti non è certo una cura, si possono confermare dei percorsi di studio :D

    No, però apre la strada ad altre possibilità per capire e applicare queste informazioni in più per trovare una soluzione (si spera)
     
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    Grazie per l edit kurtisit
     
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    CITAZIONE (kurtisit @ 5/3/2019, 22:24) 
    CITAZIONE (giosuè zan @ 5/3/2019, 22:17) 
    (ma il trapianto non rappresenta la cura per HIV.)

    Secondo me ma anche secondo tutti non è certo una cura, si possono confermare dei percorsi di studio :D

    No, però apre la strada ad altre possibilità per capire e applicare queste informazioni in più per trovare una soluzione (si spera)

    Scusate ... ma sono le stesse strade del paziente di Berlino se non ho capito male. Certo un altro passo in avanti ma non una nuova strada.

    Se sbaglio ditemi
     
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    Si, ma tra il paziente di Berlino e quello di oggi ci sono stati altri casi che non hanno avuto lo stesso risultato.

    Come diceva Ares la mutazione CCR5 vale per i virus HIV con tale tropismo. Non genera protezione come dicono nei tg a tutti i ceppi di HIV (che sfruttano altre porte di ingresso come la variante XR4).

    E' sicuramente interessante sapere che entrambi i pazienti necessitavano di un trapianto in ogni caso, e l'aver ricevuto un trapianto da un donatore con questa mutazione genetica abbia permesso di poter sospendere la HAART e constatare che di tracce di virus non ve ne sono.
    Con gli anni Timothy Brown è anche tornato sieronegativo (ovvero NON presenza di anticorpi anti-HIV)

    Sviluppare qualche terapia (genica) NON invasiva e priva dei pesanti effetti collaterali (come il rischio Graft) basandosi su 2 casi non è cosa da poco per trovare qualche concreta e safety implicazione di questo meccanismo.

    Al paziente inglese, rispetto a Timothy Brown è stato eseguito sì lo stesso tipo di trattamento, ma in maniera diversa che ha portato anche a minori complicanze.
    Ma da qui a dire che tutti ci sottoponiamo ad un trapianto di midollo osseo no.

    Edited by kurtisit - 5/3/2019, 23:31
     
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    Ottimo kurtisit
     
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    Citaz. https://www.pharmastar.it/news/altre-news/...efinitiva-28957


    Il paziente di Londra
    Il nuovo soggetto, ancora anonimo, aveva contratto l'HIV nel 2003 e nel 2012 gli era stato diagnosticato anche il linfoma di Hodgkin, un tumore del sangue. Nel 2016, quando il cancro era in fase avanzata, è stato sottoposto a un trapianto di cellule staminali da un donatore compatibile che presentava la stessa mutazione genetica CCR5. «Questa è stata davvero la sua ultima possibilità di sopravvivenza» aveva affermato Gupta.

    Ha continuato il suo regime antiretrovirale a base di dolutegravir, rilpivirina e lamivudina in aggiunta alla chemioterapia, alemtuzumab (un anticorpo monoclonale che bersaglia il CD52 sulle cellule B e T maligne) e gli immunosoppressori ciclosporina-A e metotrexato per prevenire la reazione "graft-versus-host", una condizione in cui le cellule immunitarie del donatore attaccano quelle del ricevente.

    Il trapianto ha portato alla completa remissione del linfoma e i test hanno dimostrato che i linfociti T erano privi dei recettori CCR5. Analisi approfondite sul plasma e sulle cellule T hanno rivelato che l'HIV non era rilevabile e che il livello di anticorpi HIV-specifici era diminuito. Circa 10 settimane dopo il trapianto ha sviluppato una lieve malattia graft-versus-host che si è risolta da sola.

    L'uomo ha interrotto la terapia antiretrovirale 17 mesi dopo il trapianto. Dopo 18 mesi la sua carica virale nel sangue è rimasta non rilevabile, nelle cellule CD4 periferiche non è stato trovato nessun DNA dell'HIV e i test non hanno mostrato virus "riattivabile" nelle cellule T. A differenza di Brown, il paziente di Londra non ha ancora effettuato test per l'HIV residuo nel suo intestino e in altri tessuti.

    «Aver dimostrato che il caso di Timothy Brown che non è l' unico - spiega Giovanni Maga, direttore del laboratorio di Virologia Molecolare presso l' Istituto di Genetica Molecolare del Consiglio nazionale delle ricerche di Pavia - suggerisce che la strategia basata sull' eliminazione del correttore CCR5 potrebbe essere la chiave per portare una guarigione».

    Un terzo caso potenziale
    Un poster presentato al congresso CROI del 2019 ha descritto un terzo caso di remissione dell'HIV a lungo termine dopo un trapianto di cellule staminali da un donatore con una doppia mutazione CCR5. Questo paziente, trattato a Dusseldorf, ha subito la procedura nel febbraio 2013 per il trattamento della leucemia mieloide acuta.

    È rimasto in terapia antiretrovirale, con carica virale non rilevabile, fino al novembre 2018. Test approfonditi non hanno mostrato DNA virale nel suo midollo osseo, in campioni di tessuto gastrointestinale, rettale e nei linfonodi. Il paziente di Dusseldorf ha interrotto la terapia antiretrovirale nel novembre 2018, l'HIV resta non rilevabile ed è sottoposto a monitoraggio continuo.

    Una terapia non adatta a tutti i pazienti
    Secondo la maggior parte degli esperti non è pensabile che questo approccio sia in grado di curare tutti i pazienti. Si tratta di una procedura costosa, complessa e rischiosa. Per poter essere esteso a tutti i malati di AIDS, bisognerebbe trovare i giusti donatori nella piccolissima percentuale di persone che presentano la mutazione che le rende resistenti al virus.

    Tra l’altro Il trapianto di cellule staminali è pericoloso per la vita. Brown è quasi morto durante il processo e ha avuto effetti collaterali duraturi. Tuttavia, questo nuovo caso si aggiunge all’evidenza che l'uso della terapia genica per eliminare i recettori CCR5 dalle cellule T può essere un approccio percorribile.

    «Nonostante non sia una strategia valida per una cura su larga scala, rappresenta comunque un momento critico», ha detto Anton Pozniak, presidente della International AIDS Society. «La speranza è che alla fine porterà a una strategia sicura, economica e facile da utilizzare grazie ai progressi della tecnologia genetica o delle tecniche anticorpali».

    Peraltro, secondo gli specialisti non è ancora chiaro se la resistenza al CCR5 sia l'unica chiave, o se la malattia graft-versus-host non abbia contribuito a sconfiggere il virus. Entrambi i pazienti in remissione hanno avuto questa complicanza - ha affermato Gupta - che potrebbe aver giocato un ruolo nella scomparsa delle cellule infettate dall'HIV.

    Il suo team prevede di utilizzare questi risultati per esplorare potenziali nuove strategie di trattamento per l’infezione. «Dobbiamo capire se potremmo mettere fuori uso il recettore CCR5 nelle persone con HIV, magari utilizzando la terapia genica», ha aggiunto.
     
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    Notizia non pervenuta al CROI

    https://www.adnkronos.com/salute/medicina/...ouiA96GuwK.html

    In Germania terzo uomo libero da Hiv

    A pochi giorni di distanza dall'annuncio del secondo paziente al mondo in remissione da più di 18 mesi dall'Hiv, un'università tedesca ha annunciato che un terzo uomo potrebbe essere libero dal virus. I ricercatori non hanno più rilevato l'Hiv nell'organismo del paziente, dopo che questi aveva subito un trattamento a base di cellule staminali per curare il cancro. Lo ha comunicato l'Università di Dusseldorf. Allo stesso tempo, l'ateneo tedesco ha sottolineato che è troppo presto per parlare di una cura: il paziente ha smesso di prendere i farmaci antivirali solo tre mesi e mezzo fa.



    L'uomo, la cui identità non è stata resa nota, per curare il cancro aveva ricevuto un trapianto di cellule staminali provenienti da un donatore con una rara mutazione genetica che lo rende immune ad alcune forme di Hiv, si legge in una nota della rete di ricerca Icistem. Ora bisogna vedere se l'effetto perdurerà. In alcuni casi simili il virus è rimasto non rilevabile per diversi mesi prima di riapparire. In questi casi, tuttavia, i donatori non avevano la stessa mutazione 'scudo'.

    Nei giorni scorsi, gli autori del lavoro britannico pubblicato su 'Nature' hanno spiegato che nel loro caso il trapianto di staminali del midollo osseo ha portato a una remissione a lungo termine il "paziente londinese", che potrebbe essere la seconda persona al mondo ad essere guarita. Per i ricercatori è comunque troppo presto per dirlo con certezza. Finora c'è solo un caso documentato di un uomo guarito dall'Hiv: dodici anni fa il "paziente di Berlino" fu sottoposto a un trapianto di staminali da un donatore con due copie della mutazione del gene CCR5, resistente all'Hiv. Da allora il virus è scomparso.
     
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    https://www.poloinformativohiv.info/con-il...nzione-in-cura/

    Con il test della carica virale al point-of-care migliorano outcome terapeutici e ritenzione in cura

    A CROI 2019 sono stati presentati i risultati del primo trial controllato randomizzato volto a verificare l’impatto dell’offerta del test HIV rapido sul sito di cura (cd. test al point-of-care).

    La possibilità di apprendere l’esito del test lo stesso giorno in cui veniva eseguito, anziché attendere per settimane i risultati del test di laboratorio, ha consentito un aumento del 14% nei tassi di soppressione virologica e ritenzione in cura in una struttura sanitaria pubblica in Sudafrica.

    Il dott. Paul Drain, durante il suo intervento, ha sottolineato come i tempi necessari per ottenere gli esiti dei test di laboratorio rappresentino un ostacolo per il monitoraggio del trattamento HIV nei contesti con risorse limitate. Se invece i risultati sono subito disponibili, quando il paziente è ancora fisicamente presente in struttura, è molto più facile identificare eventuali problemi o comunque offrire immediatamente degli interventi di sostegno.

    Lo studio ha coinvolto 390 partecipanti con infezione HIV che sono stati arruolati sei mesi dopo aver iniziato le terapie antiretrovirali. A quelli del braccio di intervento era stato offerto di eseguire direttamente sul sito di cura il test rapido Xpert e lo stesso giorno avevano potuto fruire di un intervento di counselling; quelli del braccio di controllo invece avevano seguito il percorso standard, effettuando il test di laboratorio.

    L’outcome primario dello studio era la ritenzione in cura e l’abbattimento della carica virale al di sotto delle 200 copie/ml dopo 12 mesi dall’ingresso nello studio: un risultato raggiunto dall’89,7% dei partecipanti facenti parte del braccio d’intervento, contro il 75,9% di quelli del braccio di controllo.

    Tutti e sei i pazienti del braccio di intervento che hanno sperimentato un fallimento virologico sono passati alla terapia di seconda linea, in un periodo mediano di un solo giorno dopo l’esecuzione del test. Nel braccio di controllo, questo è avvenuto soltanto nel caso di quattro partecipanti su nove, e dopo un periodo mediano di 76 giorni.

    I pazienti hanno riferito di apprezzare il poter avere un feedback in tempo reale sulla propria aderenza terapeutica e aiuto rapido per la risoluzione di eventuali problemi.
     
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    Primo Bollettino a cura di Lila in collaborazione con NAM
    www.lila.it/it/nel-mondo/118-croi-2019/1166-croi2019-01

    Il paziente di Londra, in remissione HIV a lungo termine con trapianto di staminali
    Da Londra arriva la notizia di un uomo che non presenta tracce rilevabili di HIV a un anno e mezzo dall’interruzione della terapia antiretrovirale dopo aver subito un trapianto di cellule staminali del midollo osseo per trattare un linfoma. È quanto riferito in un intervento alla Conferenza su Retrovirus e Infezioni Opportunistiche in corso questa settimana a Seattle.

    Il caso è stato accostato a quello di Timothy Ray Brown, il cosiddetto “paziente di Berlino”, il primo a essere mai considerato curato dall’HIV. Brown, affetto da leucemia, era anch’egli stato sottoposto a un trapianto di staminali del midollo osseo: il donatore aveva due copie di una rara mutazione detta CCR5-delta-32, che causa la mancanza di co-recettori CCR5 sui linfociti T. Sono proprio questi recettori che la maggior parte dei virus HIV sfrutta per infettare le celle, e di conseguenza chi è affetto dalla mutazione è resistente al virus. Brown è stato sottoposto a chemioterapia di condizionamento ad alta intensità e a radioterapia corporea totale per eliminare tutte le cellule cancerose del sistema immunitario: questo ha fatto sì che le staminali del donatore andassero a ricostituire un nuovo sistema immunitario resistente all’HIV. Sono ormai 12 anni che Brown ha interrotto l’assunzione di antiretrovirali e da allora non presenta più tracce del virus.

    Il professor Ravindra Gupta dell’University College di Londra ha adesso presentato il caso del cosiddetto ‘paziente di Londra’, che attualmente rimane anonimo, sottoposto a trapianto di staminali per trattare un linfoma di Hodgkin nel maggio 2016; proprio come per Brown, il donatore aveva due copie della mutazione CCR5-delta-32. L’uomo si è poi sottoposto a una chemioterapia di condizionamento meno aggressiva rispetto a quella di Brown, e il trapianto è esitato nella completa remissione del linfoma.

    Sedici mesi dopo l’intervento, l’uomo ha smesso di assumere terapie antiretrovirali e oggi, a 18 mesi di distanza, la sua carica virale ematica risulta non rilevabile anche utilizzando test estremamente sensibili, in grado di rilevare fino a 1 copia/ml: non risultano tracce di HIV DNA nelle cellule CD4 periferiche e i test non hanno rilevato virus “riattivabile” in 24 milioni di linfociti T non attivati.

    Il professor Gupta ha sottolineato che per il momento non si può escludere un rebound virale e che per poter parlare di “cura” è bene attendere di verificare se l’uomo resterà privo di HIV per altri due o tre anni, ma si è detto “molto fiducioso che tale risultato sarà raggiunto”.

    Si tratta di casi da cui si può certamente imparare molto in termini di ricerca di una cura per l’HIV; gli esperti però avvertono che, anche se il trapianto con staminali con mutazione CCR5-delta-32 può effettivamente condurre a una cura funzionale, si tratta pur sempre di una procedura ad alto rischio, che per la maggior parte delle persone con infezione HIV non rappresenta un’opzione effettivamente percorribile.

    Link collegati
    Resoconto completo su aidsmap.com
    Abstract dello studio sul sito ufficiale di CROI 2019
    Webcast della presentazione sul sito ufficiale di CROI 2019


    Inghilterra, in soli due anni incidenza HIV in calo del 55% nei MSM
    In soli due anni è calata del 55% l’incidenza delle nuove infezioni HIV nei maschi che fanno sesso con maschi (MSM) in carico presso alcuni centri per la salute sessuale in Inghilterra, rivela nella sua presentazione a CROI 2019 Dana Ogaz di Public Health England. Si tratta di dati raccolti di routine presso maschi gay, bisessuali e altri MSM che si rivolgono allo stesso centro due o più volte nel corso dello stesso anno.

    L’incidenza è stata misurata prima per il 2012-2013, poi per il 2014-2015, e di nuovo per il 2016-2017. Il primo anno si attestava all’1,9% (il che significa che durante quell’anno avevano contratto l’HIV due uomini su 100) ed era rimasta pressoché stabile (1,8%) nel secondo biennio. Solo due anni dopo, però, è risultata diminuita ad appena 0,8%.

    Una tendenza simile era stata osservata in MSM che l’anno precedente erano risultati negativi al test HIV ma avevano avuto un’infezione sessuale di origine batterica – un gruppo ad alto rischio di contrarre l’HIV. L’incidenza è passata prima dal 3,7 al 3,4%, per poi crollare all’1,6%, una diminuzione del 53% in due anni.

    Si osserva dunque una riduzione delle nuove diagnosi HIV proprio in un momento in cui sempre più uomini usufruiscono della profilassi pre-esposizione (PrEP), e contemporaneamente continuano gli sforzi per promuovere l’esecuzione del test HIV e il tempestivo inizio delle terapie antiretrovirali.

    Link collegati
    Resoconto completo su aidsmap.com
    Abstract dello studio sul sito ufficiale di CROI 2019
    Webcast della presentazione sul sito ufficiale di CROI 2019

    Con il test della carica virale al point-of-care migliorano outcome terapeutici e ritenzione in cura
    A CROI 2019 sono stati presentati i risultati del primo trial controllato randomizzato volto a verificare l’impatto dell’offerta del test HIV rapido sul sito di cura (cd. test al point-of-care).

    La possibilità di apprendere l’esito del test lo stesso giorno in cui veniva eseguito, anziché attendere per settimane i risultati del test di laboratorio, ha consentito un aumento del 14% nei tassi di soppressione virologica e ritenzione in cura in una struttura sanitaria pubblica in Sudafrica.

    Il dott. Paul Drain, durante il suo intervento, ha sottolineato come i tempi necessari per ottenere gli esiti dei test di laboratorio rappresentino un ostacolo per il monitoraggio del trattamento HIV nei contesti con risorse limitate. Se invece i risultati sono subito disponibili, quando il paziente è ancora fisicamente presente in struttura, è molto più facile identificare eventuali problemi o comunque offrire immediatamente degli interventi di sostegno.

    Lo studio ha coinvolto 390 partecipanti con infezione HIV che sono stati arruolati sei mesi dopo aver iniziato le terapie antiretrovirali. A quelli del braccio di intervento era stato offerto di eseguire direttamente sul sito di cura il test rapido Xpert e lo stesso giorno avevano potuto fruire di un intervento di counselling; quelli del braccio di controllo invece avevano seguito il percorso standard, effettuando il test di laboratorio.

    L’outcome primario dello studio era la ritenzione in cura e l’abbattimento della carica virale al di sotto delle 200 copie/ml dopo 12 mesi dall’ingresso nello studio: un risultato raggiunto dall’89,7% dei partecipanti facenti parte del braccio d’intervento, contro il 75,9% di quelli del braccio di controllo.

    Tutti e sei i pazienti del braccio di intervento che hanno sperimentato un fallimento virologico sono passati alla terapia di seconda linea, in un periodo mediano di un solo giorno dopo l’esecuzione del test. Nel braccio di controllo, questo è avvenuto soltanto nel caso di quattro partecipanti su nove, e dopo un periodo mediano di 76 giorni.

    I pazienti hanno riferito di apprezzare il poter avere un feedback in tempo reale sulla propria aderenza terapeutica e aiuto rapido per la risoluzione di eventuali problemi.

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    Resoconto completo su aidsmap.com
    Abstract dello studio sul sito ufficiale di CROI 2019
    Webcast della presentazione sul sito ufficiale di CROI 2019

    Mortalità per tumore mammario più elevata nelle donne con HIV
    I risultati di uno studio condotto in Botswana e presentato a CROI 2019 sembrerebbero indicare che le donne HIV-positive con tumore mammario potrebbero avere tassi di sopravvivenza inferiori rispetto alle donne HIV-negative. La presenza di un’infezione HIV è stata infatti associata a una diminuzione quasi doppia del tasso di sopravvivenza.

    Studi precedenti condotti sia negli Stati Uniti che in Africa non hanno rilevato per le donne con HIV né un’incidenza superiore del tumore mammario né maggiori probabilità di sviluppare il cancro: tuttavia, da alcuni studi effettuati su un campione ristretto di partecipanti HIV-positive erano già emerse indicazioni che la sopravvivenza potesse essere ridotta.

    L’analisi prospettica presentata a CROI 2019 è stata effettuata sulla Thabatse Cancer Cohort, che arruola circa 4000 pazienti oncologiche in cura presso quattro grandi centri specializzati del Botswana. Le partecipanti sono state valutate al momento dell’ingresso nello studio e seguite per i successivi cinque anni. La coorte del tumore mammario comprendeva 510 donne che hanno usufruito di cure oncologiche tra l’ottobre 2010 e il settembre 2018: di queste, 151 erano HIV-positive e 327 HIV-negative.

    Le donne HIV-positive erano in media più giovani di qualche anno rispetto alle altre, ma i due gruppi erano omogenei in termini di tipo e stadio del tumore. Anche le terapie somministrate non presentavano differenze sostanziali legate alla presenza dell’infezione HIV. La maggior parte delle donne con HIV assumevano una terapia antiretrovirale, e circa il 70% avevano una carica virale inferiore alle 1000 copie/ml.

    Nel corso dello studio sono decedute 70 donne HIV-positive (46%) contro 101 donne HIV-negative (31%). Un’analisi multivariata comprendente altri fattori ha riscontrato che per le donne con HIV la sopravvivenza si riduceva dell’82% rispetto a quelle HIV-negative.

    La dott.ssa Katrin Sadigh, presentando lo studio, ha sottolineato come il tasso di sopravvivenza sia molto basso sia per le pazienti HIV-positive che per quelle HIV-negative, evidenziando che c’è urgente bisogno di strategie per velocizzare le diagnosi e migliorare le cure.

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    Abstract dello studio sul sito ufficiale di CROI 2019
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    Probabilità di soppressione virale più elevate al momento del parto con gli inibitori dell’integrasi
    Da due studi randomizzati condotti su donne in gravidanza e presentati a CROI 2019 emerge che la terapia con inibitori dell’integrasi, sia raltegravir (Isentress) che dolutegravir (Tivicay, contenuto anche nel Triumeq), consentirebbe di abbattere la carica virale molto più rapidamente di quella con efavirenz se iniziata a uno stadio più avanzato della gravidanza.

    Sono molte le donne con HIV che apprendono di avere l’infezione facendo il test quando sono già in gravidanza, e spesso dopo aver già superato il primo trimestre. Ottenere un rapido abbattimento della carica virale durante la gravidanza è fondamentale per far sì che al momento del parto la paziente abbia una carica virale non rilevabile, riducendo così drasticamente il rischio che il virus venga trasmesso al nascituro.

    Lo studio NICHD P1081, condotto in Sudamerica, Africa, Thailandia e Stati Uniti tra il 2013 e il 2018, ha coinvolto partecipanti che iniziavano la terapia antiretrovirale (ART) in uno stadio avanzato della gravidanza (dopo la 20° settimana), randomizzandole per assumere un regime a base di raltegravir oppure efavirenz.

    In questa analisi condotta su oltre 300 donne, i ricercatori hanno riscontrato che nel braccio del raltegravir molte più pazienti arrivavano al parto con una carica virale inferiore alle 200 copie/ml (il 94%, contro l’84% dell’altro braccio): la correlazione era inoltre più marcata in coloro che avevano iniziato la terapia dopo la 28° settimana (93% contro 71%). Il periodo di tempo mediano necessario a scendere sotto le 200 copie/ml è risultato di 8 giorni per le donne che assumevano raltegravir e 15 in quelle trattate con efavirenz. Quanto agli eventi avversi, non sono state rilevate differenze tra i due gruppi, né per quanto riguardava le madri, né per quanto riguardava i bambini.

    In un secondo studio presentato a CROI, DOLPHIN-2, un gruppo di pazienti che avevano iniziato la ART dopo la 28° settimana di gravidanza sono state randomizzate per assumere un regime a base di dolutegravir oppure di efavirenz. Su un totale di 237 partecipanti, le donne del braccio del dolutegravir sono risultate avere il 66% in più di probabilità di raggiungere l’abbattimento della carica virale prima del parto. Anche in questo caso, gli autori non hanno riscontrato differenze tra i due gruppi in termini di eventi avversi per le madri né di parti prematuri. Nel corso di questo studio si sono verificati tre casi di trasmissione dell’HIV, tutti e tre nel braccio del dolutegravir; secondo gli autori tuttavia la trasmissione è avvenuta in utero, e non al momento del parto.

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    Resoconto completo su aidsmap.com
    Abstract dello studio su NICHD P1081 sul sito ufficiale di CROI 2019
    Abstract dello studio DOLPHIN-2 sul sito ufficiale di CROI 2019
    Webcast della presentazione dello studio su NICHD P1081 sul sito ufficiale di CROI 2019
    Webcast della presentazione dello studio DOLPHIN-2 sul sito ufficiale di CROI 2019
     
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