CROI 2019

XXVI Conferenza sui Retrovirus ed Infezioni Opportunistiche 4-7 MARZO 2019

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.  
    .
    Avatar

    Capitano

    Group
    MODERATORE FORUM
    Posts
    10,966

    Status
    Offline
    Secondo Bollettino a cura di Lila in collaborazione con NAM
    www.lila.it/it/nel-mondo/118-croi-2019/1178-croi2019-02


    Infezioni HIV in calo del 30% con offerta universale di test e trattamento
    Drasticamente ridotta l’incidenza HIV in un gruppo di comunità dell’Africa meridionale in cui sono stati messi in atto interventi di offerta porta-a-porta del test e per l’aggancio alle cure: è quanto si apprende dai risultati di uno studio presentato alla Conferenza su Retrovirus e Infezioni Opportunistiche (CROI 2019).

    Nello studio PopART è stato valutato l’impatto sull’incidenza HIV di interventi in cui veniva offerta la possibilità di eseguire il test a domicilio e una serie di attività mirate ad agevolare la presa in cura di chi risultava positivo, coadiuvate dall’erogazione di farmaci antiretrovirali da parte dei servizi sanitari. Si tratta del più ampio studio sperimentale mai tentato: nelle 21 comunità urbane dello Zambia e del Sudafrica dove è stato condotto vive infatti circa un milione di persone.

    Lo studio si è avvalso del lavoro sul territorio di operatori che si sono recati di casa in casa, sistematicamente e in ogni area geografica, per offrire test a domicilio e counselling. Chi risultava HIV-positivo veniva inviato a strutture mediche dove poteva ricevere le terapie antiretrovirali.

    Nell’arco dell’anno, gli operatori tornavano poi a visitare le famiglie per verificare l’esito dell’invio ed eventualmente offrire la possibilità di fare il test ai membri del nucleo familiare che non fossero stati presenti alla visita precedente o avessero declinato l’offerta la prima volta. Il professor Richard Hayes, presentando i risultati dello studio, ha rimarcato che l’obiettivo era testare l’offerta universale non solo del trattamento ma anche del test e degli interventi di sostegno all’ingresso nel percorso di cura.

    Nelle comunità dove sono stati attuati questi interventi – con il trattamento iniziato secondo quanto raccomandato nelle linee guida nazionali – si è registrata un’incidenza HIV inferiore del 30% rispetto a quelle dove erano offerti soltanto i servizi sanitari standard.

    Alcuni risultati dello studio sono invece meno netti. C’è infatti un terzo gruppo che ha ricevuto l’offerta attiva di test, counselling e trattamento, e nel quale però il calo dell’incidenza si è fermato al 7%. Gli autori dello studio stanno ora approfondendo le ragioni di questo scarto.

    “Nel complesso, comunque, i risultati sembrano comprovare in modo molto convincente che questi interventi siano efficaci”, ha commentato Hayes. “L’attività di offerta universale di test e aggancio alle cure sul territorio costituisce una componente chiave delle strategie di prevenzione combinata negli sforzi globali per tenere sotto controllo l’epidemia da HIV.”

    Link collegati
    Resoconto completo su aidsmap.com
    Abstract dello studio sul sito ufficiale di CROI 2019
    Webcast della presentazione sul sito ufficiale di CROI 2019 website

    Londra, epatite C in calo negli MSM HIV-positivi
    Dal 2015 sono diminuite quasi del 70% le nuove diagnosi di infezione con virus dell’epatite C (HCV) nei maschi che fanno sesso con maschi (MSM) HIV-positivi in carico presso tre centri medici di Londra, secondo uno studio presentato a CROI 2019.

    La dott.ssa Lucy Garvey, presentando questi risultati, ha detto che le cause di questo calo sono in gran parte ravvisabili nell’offerta di programmi per lo screening regolare dell’HCV da un lato e dell’effetto del ‘trattamento-come-prevenzione’ dato dall’ampliamento dell’offerta di terapie a base di antivirali ad azione diretta (DAA) dall’altro. L’équipe di ricercatori ha valutato i trend di incidenza dell’infezione acuta da HCV tra MSM HIV-positivi tra il luglio 2013 e il giugno 2018.

    Questo studio retrospettivo ha coinvolto circa 6000 uomini HIV-positivi a rischio di contrarre l’epatite C che facevano capo a tre centri medici operanti nel centro di Londra. Il tasso di nuove infezioni da HCV ha registrato un picco nel 2015, raggiungendo i 17 casi per 1000 persone/anno: dopodiché ha però iniziato a calare vertiginosamente e costantemente, arrivando a sole sei nuove infezioni e tre prime infezioni in totale per persone/anno nel 2018. Dal 2013 al 2016 le terapie anti-HCV venivano iniziate in media 23 mesi dopo la diagnosi, mentre dal 2016 in poi la maggior parte dei pazienti ha ricevuto i trattamenti nell’ambito di trial clinici e questo lasso di tempo si è ridotto, in media, a 10 mesi.

    Alla Conferenza è stato però presentato anche un altro studio in materia, che getta qualche dubbio sulla possibilità di sconfiggere l’epidemia da HCV attraverso la via farmacologica. Si tratta di uno studio condotto a New York che ha riscontrato in maschi gay e bisessuali già guariti dall’epatite C una recrudescenza dell’infezione sette volte maggiore rispetto al tasso di infezione iniziale.

    Link collegati
    Resoconto completo su aidsmap.com
    Abstract dello studio di Londra sul sito ufficiale di CROI 2019
    Abstract dello studio di New York sul sito ufficiale di CROI 2019
    Webcast della presentazione dello studio di Londra sul sito ufficiale di CROI 2019
    Webcast della presentazione dello studio di New York sul sito ufficiale di CROI 2019

    Descovy non inferiore al Truvada per la PrEP giornaliera
    Una compressa ad assunzione giornaliera contenente una nuova formulazione di tenofovir in combinazione con emtricitabina (Descovy) ha mostrato un’efficacia protettiva paragonabile a quella della formulazione con il “vecchio” tenofovir ed emtricitabina (Truvada), si è appreso alla Conferenza.

    Attualmente, l’unico farmaco autorizzato per la profilassi pre-esposizione (PrEP) assunta per via orale è una formulazione combinata di tenofovir disoproxil fumarato (TDF) ed emtricitabina prodotta da Gilead Sciences con il nome commerciale di Truvada ma in molti paesi disponibile anche in versione generica. Il TDF è efficace e dà pochi effetti collaterali, ma in taluni casi è associato a problemi renali od ossei.

    Gilead ha recentemente messo a punto una nuova formulazione, il tenofovir alafenamide (TAF), meno tossico per reni e ossa. Essendo un nuovo prodotto, è ancora coperto da brevetto e dunque non è disponibile in versione generica. Il TAF è contenuto in varie compresse combinate impiegate nei regimi antiretrovirali, tra cui Descovy. Ne è stato testato l’uso nel trattamento dell’HIV, ma per la PrEP finora no.

    Il dott. Brad Hare ha presentato a CROI 2019 i risultati dello studio DISCOVER, un trial controllato randomizzato volto a valutare efficacia e sicurezza della combinazione TAF/emtricitabina per la profilassi pre-esposizione di maschi che fanno sesso con maschi e donne transgender a rischio di contrarre l’infezione da HIV.

    I 5387 partecipanti sono stati arruolati tra il settembre 2016 e il maggio 2017 in undici paesi del Nord America e dell’Europa e sono stati randomizzati per ricevere una somministrazione giornaliera di TAF/emtricitabina oppure TDF/emtricitabina.

    Al termine dello studio, nel gennaio 2019, si erano verificati 22 eventi di infezione HIV. Quindici di essi sembravano essere imputabili a un’aderenza terapeutica scarsa o minima. In cinque casi l’infezione era probabilmente stata contratta poco prima del reclutamento nello studio. In due casi, uno per braccio, l’infezione è invece avvenuta malgrado i pazienti presentassero livelli di farmaco “adeguati”.

    Si sono verificate meno infezioni nel braccio del TAF rispetto a quello del TDF, ma la differenza non è risultata statisticamente significativa: ciò significa che il TAF ha mostrato di essere “non inferiore” al TDF nel prevenire l’infezione con HIV, ma neppure superiore. Come atteso, invece, la nuova formulazione è risultata migliore in termini di sicurezza per ossa e reni, anche se i lievi cambiamenti evidenziati nei biomarcatori renali e ossei potrebbero non essere clinicamente significativi.

    Link collegati
    Resoconto completo su aidsmap.com
    Abstract dello studio sul sito ufficiale di CROI 2019
    Webcast della presentazione sul sito ufficiale di CROI 2019

    Morte cardiaca improvvisa più diffusa nei pazienti HIV+
    Due studi presentati a CROI 2019 hanno esaminato l’incidenza della morte cardiaca improvvisa nei pazienti con infezione da HIV. Gli autori hanno riscontrato che i decessi per morte cardiaca improvvisa sono sensibilmente più frequenti nella popolazione HIV-positiva rispetto alla popolazione generale, e inoltre nei pazienti con HIV c’erano maggiori probabilità che fossero associati a overdose o insufficienza renale, oltre che a basse conte dei CD4 e una carica virale rilevabile.

    La morte cardiaca improvvisa sopraggiunge a causa di un malfunzionamento dell’attività elettrica del cuore a seguito di un’aritmia, ossia un’alterazione di ritmo del battito cardiaco. A causare l’aritmia può essere una patologia cardiaca, un collasso, un trauma o un’overdose. L’arresto cardiaco improvviso può essere trattato con un defibrillatore, uno strumento che eroga una scarica elettrica per ripristinare il normale ritmo cardiaco, oppure con la rianimazione cardiopolmonare (RCP).

    Un team di ricercatori ha preso in considerazione casi di morte cardiaca improvvisa verificatisi al di fuori del contesto ospedaliero nella contea di San Francisco tra il 2011 e il 2016. Gli studiosi hanno individuato 47 decessi di persone HIV-positive e 505 di persone HIV-negative e hanno messo a confronto i due gruppi. Quello degli HIV-positivi era composto da persone notevolmente più giovani e con più probabilità di avere precedenti di infarto, una diagnosi di disturbi psichiatrici e una dipendenza da sostanze stupefacenti, alcol o tabacco.

    Le autopsie hanno individuato casi di ‘overdose occulta’, ossia in cui l’abuso di stupefacenti non è stato evidente fino a che non è stata effettuata l’autopsia stessa. È stato causato da overdose occulta poco più di un terzo dei decessi nel gruppo HIV+, contro solo il 13% nell’altro gruppo. Anche l’insufficienza renale è risultata una causa di morte più diffusa in questo gruppo (6%, contro solo l’1% nel gruppo degli HIV-negativi).

    L’altro team ha invece studiato i casi di morte cardiaca improvvisa in un gruppo di veterani delle forze armate statunitensi tra il 2003 e il 2014. Del totale dei 144.362 veterani considerati, 43.413 avevano un’infezione da HIV, quasi tutti erano di sesso maschile e l’età mediana era di 50 anni.

    Gli eventi di morte cardiaca improvvisa verificatisi nel gruppo HIV+ sono stati 777; i ricercatori hanno calcolato che il rischio di morte per arresto cardiaco improvviso in questo gruppo era più elevato del 15%, ma solo se la conta dei CD4 era bassa (al di sotto delle 200 copie) o la carica virale era al di sopra dei livelli di rilevabilità.

    In entrambi i gruppi il rischio è risultato più elevato in concomitanza con notori fattori di rischio legati allo stile di vita come il fumo, ma anche con patologie pre-esistenti come malattie cardiache, epatite C e patologie polmonari croniche.

    Link collegati
    Resoconto completo su aidsmap.com
    Abstract dello studio di San Francisco sul sito ufficiale di CROI 2019
    Abstract dello studio sui veterani sul sito ufficiale di CROI 2019
    Webcast della presentazione dello studio di San Francisco sul sito ufficiale di CROI 2019
    Webcast della presentazione dello studio sui veterani sul sito ufficiale di CROI 2019
     
    Top
    .
  2.  
    .
    Avatar

    Capitano

    Group
    MODERATORE FORUM
    Posts
    10,966

    Status
    Offline
    https://www.poloinformativohiv.info/studi-...f-e-su-gs-6207/

    Gilead ha annunciato diversi studi su BIC/FTC/TAF e su GS-6207, un nuovo inibitore sperimentale
    Articolo di Luca Negri

    Durante la conferenza CROI appena conclusasi a Seattle, Gilead ha annunciato diversi studi su BIC/FTC/TAF e su GS-6207, un nuovo inibitore sperimentale del capside dell’HIV-1. Di seguito un breve recap:

    Nuovi dati su Bictegravir, Emplicitabina e Tenofovir Alafenamide e regimi a base di TAF per il trattamento dell’HIV-1 nei bambini, negli adulti sopra i 50 anni e nelle donne
    Nuovi dati su Bictegravir, Emtricitabina e Tenofovir Alafenamide negli adulti con soppressione virologica, inclusi quelli con pre-esistente resistenza agli NRTI
    I dati di due studi che supportano l’ulteriore sviluppo di GS-6207, un nuovo inibitore sperimentale del capside dell’HIV-1 come componente delle future terapie dell’HIV a lunga durata d’azione
    GILEAD PRESENTA NUOVI DATI SU BICTEGRAVIR, EMTRICITABINA E TENOFOVIR ALAFENAMIDE NEGLI ADULTI CON SOPPRESSIONE VIROLOGICA, INCLUSI QUELLI CON PRE-ESISTENTE RESISTENZA AGLI NRTI

    Foster City, California – 8 marzo 2019 – Gilead Sciences, Inc. ha annunciato i dati di due studi che hanno valutato il profilo di resistenza di BIC/FTC/TAF (bictegravir 50 mg/emtricitabina 200 mg/tenofovir alafenamide 25 mg compresse) negli adulti con soppressione virologica provenienti da dolutegravir/abacavir/lamivudina (50/600/300 mg) (DTG/ABC/3TC), o da un regime basato su un inibitore della proteasi (PI) potenziato, per il trattamento dell’HIV-1. Gli studi hanno rilevato elevati tassi di soppressione virologica con BIC/FTC/TAF negli adulti con esperienza di trattamento, a prescindere da qualsiasi resistenza pre-esistente agli inibitori nucleosidici della trascrittasi inversa (NRTI).1,2 I dati sono stati presentati alla CROI (Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections, Conferenza su retrovirus e infezioni opportunistiche), svoltasi a Seattle.

    In Europa BIC/FTC/TAF è indicato come regime completo per il trattamento dell’infezione da HIV-1 negli adulti senza evidenza presente o passata di resistenza virale alla classe degli inibitori dell’integrasi, a emtricitabina o a tenofovir. Nei pazienti con clearance della creatinina (CrCl) stimata ≥30 mL/min non è richiesto alcun aggiustamento del dosaggio di BIC/FTC/TAF. BIC/FTC/TAF va assunto una volta al giorno in forma di pillola, non richiede l’esecuzione di test per HLA-B 5701 e non ha alcuna restrizione in termini di assunzione di cibo, carica virale al basale o conta dei linfociti CD4.

    Gli abstract chiave per i dati presentati alla conferenza hanno incluso:

    Efficacia a lungo termine dello switch a BIC/FTC/TAF nei pazienti con resistenza preesistente documentata1

    I partecipanti a due studi di switch di fase III con BIC/FTC/TAF (Studi 1844 e 1878) sono stati seguiti per due anni di terapia nel corso dell’estensione in aperto di questi studi, che si è protratta oltre gli endpoint primari della settimana 48. La resistenza documentata ai farmaci di studio era esclusoria; ai fini di questa analisi retrospettiva, la resistenza pre-esistente documentata ai farmaci per l’HIV-1 è stata valutata mediante genotipi storici e genotipizzazione retrospettiva del DNA provirale al basale.

    Tra gli adulti passati a BIC/FTC/TAF da DTG/ABC/3TC o da un regime basato su un inibitore della proteasi (PI) potenziato sono stati osservati elevati tassi di soppressione virologica nella popolazione complessiva (n = 561/570; 98%) – così come nella popolazione con pre-esistente resistenza ai farmaci (n = 155/159; 97%), inclusi quelli con mutazione M184V/I documentata (n = 42/44; 95%).Nessun paziente ha sviluppato tipi di resistenza emergente dal trattamento nel corso dello studio.

    Elevato livello di resistenza agli NRTI pre-esistente prima del passaggio a BIC/FTC/TAF2

    Questo studio di fase III randomizzato in doppio cieco (Studio 4030) ha valutato 565 adulti virologicamente soppressi passati secondo una proporzione 1:1 da un regime con DTG+F/TAF o DTG+F/TDF (emtricitabina 200 mg/tenofovir disoproxil fumarato 300 mg; F/TDF) a DTG+F/TAF o BIC/FTC/TAF per 48 settimane. Sono stati considerati idonei all’arruolamento i soggetti con resistenza documentata a qualsiasi inibitore nucleosidico o non nucleosidico della trascrittasi inversa (rispettivamente NRTI e NNRTI) e agli inibitori della proteasi (PI); pazienti con documentata resistenza agli INSTI era invece esclusoria.

    La pre-esistente resistenza documentata ai farmaci per l’HIV-1 è stata valutata mediante genotipi storici e genotipizzazione retrospettiva del DNA provirale al basale. Nel corso dello studio, il 14% (n = 78/565) dei partecipanti aveva una resistenza agli NRTI nota o sospetta allo screening, percentuale che è aumentata al 24% (n = 138/565) utilizzando dati storici combinati con una genotipizzazione supplementare del DNA dell’HIV-1 provirale al basale.

    In questa analisi ad interim accorpata e condotta in cieco, il 99% (n = 557/562) di tutti i partecipanti con qualsiasi visita post-basale e il 99% (n = 220/222) dei partecipanti con resistenza a una qualsiasi classe di ARV, compresi quelli con mutazione M184V/I documentata (n = 79/81; 98%), hanno presentato una carica virale non rilevabile (HIV-1 RNA <50 copie/mL), senza alcuna emergenza di resistenza ai farmaci.

    La pre-esistente resistenza documentata ai farmaci per l’HIV-1 è stata valutata mediante genotipi storici e genotipizzazione retrospettiva del DNA provirale al basale. Nel corso dello studio, il 14% (n = 78/565) dei partecipanti aveva una resistenza agli NRTI nota o sospetta allo screening, percentuale che è aumentata al 24% (n = 138/565) utilizzando dati storici combinati con una genotipizzazione supplementare del DNA dell’HIV-1 provirale al basale.

    In questa analisi ad interim accorpata e condotta in cieco, il 99% (n = 557/562) di tutti i partecipanti con qualsiasi visita post-basale e il 99% (n = 220/222) dei partecipanti con resistenza a una qualsiasi classe di ARV, compresi quelli con mutazione M184V/I documentata (n = 79/81; 98%), hanno presentato una carica virale non rilevabile (HIV-1 RNA <50 copie/mL), senza alcuna emergenza di resistenza ai farmaci.

    Il profilo di efficacia e sicurezza di BIC/FTC/TAF nei pazienti con resistenza pre-esistente ai suoi componenti non è stato stabilito; il suo utilizzo in queste popolazioni è sperimentale. BIC/FTC/TAF non cura l’infezione da HIV o l’AIDS.
     
    Top
    .
  3.  
    .
    Avatar

    Capitano

    Group
    MODERATORE FORUM
    Posts
    10,966

    Status
    Offline
    Terzo Bollettino a cura di Lila in collaborazione con NAM

    www.lila.it/it/nel-mondo/118-croi-2019/1182-croi2019-03

    Farmaci anti-HIV iniettabili long-acting efficaci nel mantenere la soppressione virale
    Una combinazione di due farmaci antiretrovirali a lunga durata d’azione da somministrare per via iniettiva una volta al mese ha dato tassi molto bassi di fallimento terapeutico, mostrando inoltre un profilo di sicurezza favorevole: lo attestano i risultati di due studi clinici di fase III presentati alla Conferenza su Retrovirus e Infezioni Opportunistiche.

    La terapia consiste in due iniezioni dell’inibitore dell’integrasi sperimentale cabotegravir e dell’inibitore non-nucleosidico della trascrittasi inversa (NNRTI) rilpivirina – attualmente disponibile sotto forma di compressa (Edurant) – e ha dato prova di mantenere la soppressione virale sia in pazienti che prima assumevano un regime orale standard (nello studio ATLAS), sia in individui mai precedentemente trattati che hanno sperimentato questo regime dopo un breve periodo d’induzione in cui hanno assunto una terapia a tre farmaci (nello studio FLAIR).

    In entrambi gli studi, i dati farmacocinetici hanno mostrato che le concentrazioni ematiche di cabotegravir e rilpivirina si sono mantenute al di sopra della soglia di efficacia per tutta la durata della sperimentazione e non erano dissimili da quelle ottenute con le equivalenti formulazioni da assumere per via orale.

    I partecipanti agli studi si sono detti molto soddisfatti della somministrazione con iniezione una volta al mese, rispetto all’assunzione quotidiana di compresse orali, e quasi tutti hanno dichiarato di preferire il regime iniettabile.

    Link collegati
    Resoconto completo su aidsmap.com
    Abstract dello studio ATLAS sul sito ufficiale di CROI 2019
    Abstract dello studio FLAIR sul sito ufficiale di CROI 2019
    Webcast della presentazione dello studio ATLAS sul sito ufficiale di CROI 2019
    Webcast della presentazione dello studio FLAIR sul sito ufficiale di CROI 2019

    Difetti del tubo neurale e inibitori dell’integrasi: si attendono evidenze più solide
    I ricercatori non sono ancora in grado di stabilire se l’esposizione agli inibitori dell’integrasi intorno al momento del concepimento e agli inizi della gravidanza aumenti il rischio che il nascituro sviluppi difetti del tubo neurale, stando ai dati presentati questa settimana a CROI 2019.

    Quando si verifica un difetto del tubo neurale, la colonna vertebrale, il cervello e/o i relativi organi del feto non si formano nel modo corretto. La causa più frequente è una carenza di acido folico durante la gravidanza, ma possono essere implicati anche alcuni farmaci. Il rischio che si sviluppi un difetto del tubo neurale è massimo al momento del concepimento e nel primo trimestre di gravidanza, quindi è importante poter escludere che i farmaci assunti in questo periodo abbiano effetti nocivi.

    Nel 2018, ha destato preoccupazioni il tasso più elevato di difetti del tubo neurale in bambini esposti a dolutegravir intorno al momento del concepimento e nel primo trimestre di gravidanza che è stato osservato nell’ambito dello studio Tsepamo, in Botswana. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha risposto emanando delle indicazioni con cui si raccomandava una contraccezione efficace alle donne che potevano rimanere incinte qualora decidessero di assumere dolutegravir.

    Gli studiosi stanno ora cercando di verificare se l’aumentato rischio emerso dallo studio Tsepamo rappresenti un effettivo segnale d’allarme oppure se si tratti solo di un’anomalia circoscritta o un caso fortuito. Dato che il dolutegravir è un inibitore dell’integrasi, sono stati condotti studi anche su un farmaco simile, il raltegravir.

    Una serie di ampi studi presentati a CROI 2019 non hanno trovato evidenze di un aumentato rischio di difetti del tubo neurale. Gli autori hanno tuttavia sottolineato i limiti dei sistemi di sorveglianza attuati, auspicando che siano avviati ulteriori studi prospettici sui farmaci antiretrovirali. Entro la fine dell’anno si attendono ulteriori dati dallo studio Tsepamo.

    Link collegati
    Resoconto completo su aidsmap.com
    Webcast dell’intervento di aggiornamento della dott.ssa Lynne Mofenson su antiretrovirali e difetti congeniti


    Virus dell’immunodeficienza eliminato dai tessuti di primati infetti con le ‘forbici molecolari’
    Un’équipe di ricercatori della Temple University di Philadelphia, Stati Uniti, è riuscita a rimuovere i geni retrovirali dalle cellule di due primati infettati da SIV, un virus considerato l’analogo dell’HIV nelle scimmie. Nello studio, presentato a CROI 2019, è stato impiegato un enzima che funziona come un paio di “forbici molecolari’ (CRISPR/Cas9), contenuto nell’involucro di un diffuso virus del raffreddore, con cui si è riusciti ad eliminare i geni dell’SIV dalla maggioranza – e forse dalla totalità – delle cellule di ogni parte dell’organismo dei primati in cui sono state eseguite misurazioni dei livelli virali.

    Dato che gli animali coinvolti nella sperimentazione sono stati eutanizzati dopo l’intervento per poter effettuare la biopsia di tutti i loro tessuti, non si può dire che questo risultato equivalga ad aver curato l’infezione da SIV. Resta però che si sono ottenuti risultati straordinariamente esaustivi, senza contare che ogni tentativo di far riprodurre l’SIV in coltura dalle cellule immunitarie ematiche dei primati trattati non ha prodotto virus. Il prossimo passo sarà ripetere la procedura su primati SIV-positivi trattati con antiretrovirali e interrompere il trattamento per vedere se l’SIV ricompare.

    Link collegati
    Resoconto completo su aidsmap.com
    Abstract dello studio sul sito ufficiale di CROI 2019
    Webcast della presentazione sul sito ufficiale di CROI 2019

    USA, si sta lentamente riducendo il lasso di tempo in cui le persone con HIV restano in grado di trasmettere il virus
    Nel 2016, oltre la metà delle persone con diagnosi da HIV negli Stati Uniti impiegavano più di tre anni per avere la diagnosi e in seguito più di altri cinque mesi per raggiungere la soppressione virale. È quanto riscontrato da uno studio presentato a CROI 2019 dai ricercatori dei Centers for Disease Control and Prevention (CDC, l’ente federale americano per il controllo e la prevenzione delle malattie), basato su dati raccolti di routine su nuove diagnosi HIV, parametri immunologici (CD4) e virologici (carica virale).

    La tempestività della diagnosi e dell’inizio del trattamento è importantissima sia per la salute della persona con HIV che per la prevenzione della trasmissione. Chi ha un’infezione non diagnosticata ha infatti più probabilità di trasmetterla ai partner, e assumendo una terapia efficace si impedisce di fatto al virus di essere trasmesso attraverso rapporti sessuali.

    Lo studio ha evidenziato che il tempo mediano intercorso tra il momento dell’infezione e la diagnosi è calato dai 43 mesi del 2012 ai 39 mesi del 2016, pari a una diminuzione del 9% nell’arco di quattro anni.

    Molto più marcati sono invece i progressi fatti per ridurre il tempo mediano che intercorre tra la diagnosi e la soppressione virale: tra il 2012 e il 2016 si è infatti passati da otto mesi a cinque, una diminuzione del 38%.

    Link collegati
    Resoconto completo su aidsmap.com
    Abstract dello studio sul sito ufficiale di CROI 2019
    Webcast della presentazione sul sito ufficiale di CROI 2019

    Maggiore rischio di infarto per le persone HIV+ con BPCO
    La bronco-pneumopatia ostruttiva cronica (BPCO) aumenta il rischio di infarto nei pazienti HIV-positivi, ha riferito questa settimana un team di ricercatori statunitensi a CROI 2019.

    La BPCO è una malattia polmonare cronica che causa difficoltà respiratorie, ed è una delle patologie croniche più diffuse nei pazienti con infezione da HIV. Anche dopo aver aggiustato i dati tenendo conto del fumo, una recente meta-analisi ha evidenziato un rischio di BPCO maggiore del 15% per i pazienti con HIV.

    Nelle forme gravi, la BPCO è associata a un aumentato rischio di infarto nella popolazione generale; tuttavia, studi precedenti non avevano riscontrato aumenti del rischio per le persone HIV+.

    Questo studio si prefiggeva di indagare se la BPCO facesse aumentare il rischio di infarto e per questo ci si è avvalsi della collaborazione di otto grandi centri specializzati in tutti gli Stati Uniti, arrivando a coprire un campione di 22.596 pazienti con HIV e concentrandosi poi sui dati di quelli affetti da BPCO.

    Dopo aver aggiustato i dati tenendo conto del fumo e della durata dell’abitudine al fumo, è risultato che le persone con BPCO hanno comunque il doppio delle probabilità di essere colpite da infarto nel periodo di follow-up (3,44 anni mediani). C’è dunque bisogno di approfondire ulteriormente i meccanismi che causano questo aumento del rischio, anche per elaborare strategie preventive e terapeutiche.

    Link collegati
    Resoconto completo su aidsmap.com
    Abstract dello studio sul sito ufficiale di CROI 2019
    Webcast della presentazione sul sito ufficiale di CROI 2019

    Quante persone che hanno assunto la PrEP contraggono l’HIV lo stesso anno?
    È stato presentato a CROI 2019 uno studio condotto a New York che si prefiggeva di stabilire quante persone che avevano assunto la profilassi pre-esposizione (PrEP) nel corso dell’anno precedente avessero poi ricevuto una diagnosi di HIV.

    La PrEP è un efficace strumento di prevenzione dell’HIV che consiste nell’assunzione di antiretrovirali da parte di persone HIV-negative per evitare di contrarre il virus. Tuttavia, per la PrEP vengono utilizzati gli stessi farmaci impiegati per il trattamento dell’infezione, e sono state espresse preoccupazioni circa la possibilità che insorgano farmacoresistenze nel caso in cui sia assunta da qualcuno con un’infezione HIV non diagnosticata.

    Una serie di studi controllati randomizzati sulla PrEP hanno avuto tra i loro partecipanti persone che hanno contratto l’HIV nel momento in cui hanno iniziato la PrEP o poco prima, e alcuni di loro hanno effettivamente sviluppato una farmacoresistenza. Si ignora tuttavia quanto siano frequenti questi eventi tra chi usufruisce dei programmi di offerta della PrEP.

    Lo studio presentato a CROI ha esaminato dati raccolti di routine su 3685 persone a cui era stata diagnosticata un’infezione HIV nel corso dell’ultimo anno e ha individuato soltanto 91 persone (2,5%) che avevano assunto la PrEP nell’anno precedente alla diagnosi. L’assunzione della PrEP era durata in media 106 giorni, ma il lasso di tempo intercorso tra l’inizio della PrEP e il momento della diagnosi, sempre in media, era di 250 giorni: questo farebbe pensare che molti di questi individui abbiano smesso di prendere i farmaci profilattici in qualche momento precedente alla diagnosi.

    Quanto alle farmacoresistenze, è vero che si sono sviluppate in misura maggiore in chi aveva assunto la PrEP prima di contrarre l’HIV: tuttavia si tratta di resistenza a un’unica componente dei regimi PrEP, l’emtricitabina, mentre non sono stati osservati casi di resistenza al tenofovir data da mutazione K65R associati all’assunzione della PrEP.

    Un terzo (33%) di tutti coloro che avevano assunto la PrEP hanno avuto una diagnosi di infezione acuta da HIV, cioè molto recente, contro solo il 9% tra coloro che non l’avevano mai assunta.

    La dott.ssa Kavita Misra, presentando lo studio, ha commentato che i risultati sono complessivamente rincuoranti, ma evidenziano anche come sia “cruciale effettuare un rigoroso screening” prima di somministrare la PrEP.

    Link collegati
    Resoconto completo su aidsmap.com
    Abstract dello studio sul sito ufficiale di CROI 2019
    Webcast della presentazione sul sito ufficiale di CROI 2019

    Inibitori dell’integrasi associati a maggiore aumento di peso
    Questa settimana a CROI sono state presentate anche ulteriori evidenze che l’assunzione di un regime farmacologico con inibitori dell’integrasi HIV è associata a un aumento di peso corporeo, e che chi inizia un trattamento con un inibitore dell’integrasi aumenta maggiormente di peso rispetto a chi assume farmaci di altre classi.

    L’aumento di peso associato all’assunzione degli inibitori dell’integrasi è stato segnalato per la prima volta verso la fine del 2018 e da allora è stato studiato da altri team di ricercatori in un ventaglio più ampio di gruppi di pazienti.

    La North American AIDS Cohort Collaboration ha rilevato che, in un campione di individui che iniziavano per la prima volta ad assumere la terapia antiretrovirale, il trattamento con inibitori dell’integrasi risultava associato a un aumento di peso maggiore rispetto ai regimi con inibitori non nucleosidici della trascrittasi inversa (NNRTI). L’analisi ha preso in considerazione 24.001 persone che hanno iniziato le terapie tra il 2007 e il 2015: dopo cinque anni in trattamento, chi assumeva inibitori dell’integrasi pesava 6 chili in più (valore mediano), contro i 4,3 chili di chi assumeva un NNRTI.

    Anche due altri studi più piccoli hanno trovato un’associazione tra inibitori dell’integrasi e aumento di peso, mentre un terzo non ha riscontrato alcuna associazione.

    L’aumento di peso è una diretta conseguenza dell’assunzione di antiretrovirali o piuttosto il risultato di un ambiente che incoraggia ad alimentarsi in modo poco sano e a fare una vita sedentaria? Moderando una discussione sull’argomento, Jane O’Halloran della Washington University di St Louis ha fatto presente che fino alla metà degli adulti che iniziano una terapia antiretrovirale negli Stati Uniti potrebbero essere già obesi. L’aumento di peso dopo l’inizio del trattamento potrebbe inoltre interessare individui la cui alimentazione e il cui stile di vita già li predispongono ad aumentare ulteriormente di peso.

    Link collegati
    Resoconto completo su aidsmap.com
    Abstract dello studio sul sito ufficiale di CROI 2019
    Webcast della presentazione sul sito ufficiale di CROI 2019
     
    Top
    .
  4.  
    .
    Avatar

    Capitano

    Group
    MODERATORE FORUM
    Posts
    10,966

    Status
    Offline
    Bollettino conclusivo a cura di Lila in collaborazione con NAM
    www.lila.it/it/nel-mondo/118-croi-2019/1183-croi2019-04

    U=U, è questione di diritti umani
    Parlando alla Conferenza su Retrovirus e Infezioni Opportunistiche (CROI 2019) la scorsa settimana, la dott.ssa Carrie Foote ha affermato: “Tutte le persone con HIV hanno diritto a ricevere informazioni accurate sulla propria salute sessuale e riproduttiva e tutti i risvolti sociali ad essa collegata.”

    Foote vive con l’HIV dal 1988, ed è tra i membri fondatori della campagna internazionale U=U, lanciata nel 2016, dove U=U significa Undetectable = Untrasmittable, ossia ‘non rilevabile = non trasmissibile’. Si tratta di una campagna attuata in collaborazione con associazioni attive sul territorio in quasi 100 paesi: lo scopo è diffondere i risultati di tutta una serie di studi che mostrano come le persone con HIV che seguono correttamente una terapia antiretrovirale efficace non trasmettano il virus per via sessuale ai partner.

    È un principio in grado di cambiare la vita sessuale, riproduttiva e sociale delle persone che vivono con l’HIV, senza contare quanto può contribuire a combattere lo stigma che ancora grava su di loro. “Lo stigma ci uccide”, ha aggiunto Foote. “Lo stigma è un’emergenza di salute pubblica, e U=U rappresenta uno strumento immediato ed efficace per iniziare a demolirlo completamente.”

    Durante un simposio tenuto in seno alla Conferenza sono state discusse alcune questioni chiave che riguardano questo approccio, come il linguaggio da usare quando si parla di non-rilevabilità, ma anche le disparità che possono ostacolare l’accesso al trattamento e l’aderenza terapeutica, le questioni cliniche relative al rischio e l’importanza dell’accesso ai test della carica virale nei contesti con risorse limitate.

    Link collegati
    Resoconto completo su aidsmap.com
    Scheda informativa su U=U su aidsmap.com
    Abstract dello studio sul sito ufficiale di CROI 2019
    Webcast della presentazione sul sito ufficiale di CROI 2019

    È ancora utile la conta dei CD4 nell’era del ‘trattamento per tutti’?
    Due studi presentati a CROI 2019 mostrano quanto è ancora importante eseguire il test della conta dei CD4 prima di iniziare le terapie antiretrovirali, anche nell’odierna era del ‘trattamento per tutti’.

    Con la conta dei linfociti CD4 si valuta lo stato di salute del sistema immunitario e l’entità del danno provocato dall’HIV. Se il risultato è inferiore alle 200 cellule/mm3, il rischio di infezioni opportunistiche è elevato. In passato, in molti paesi si riservava l’erogazione di terapie antiretrovirali a chi avesse presentato una conta dei CD4 inferiore a 500 o 350 e l’esame era eseguito di routine.

    Oggi, però, nella maggior parte dei paesi le linee guida per il trattamento dell’infezione da HIV prevedono che chiunque riceva una diagnosi HIV inizi le terapie il prima possibile, a prescindere dalla conta dei CD4. Secondo i risultati di studi condotti in sei paesi dell’Africa meridionale e presentati a CROI 2019, questo esame viene condotto sempre meno frequentemente: il che è motivo di preoccupazione per gli studiosi, secondo il quali il test è invece fondamentale per individuare soggetti con conte CD4 molto basse che necessitano di un monitoraggio più attento e di una più incisiva profilassi delle infezioni opportunistiche. Quando le risorse sono limitate, tuttavia, c’è chi ritiene doveroso dare priorità al test della carica virale.

    Gli autori di uno studio condotto in Zambia hanno studiato la correlazione tra numero di test dei CD4 eseguiti e tassi di mortalità nel biennio 2013-2015, prendendo in considerazione persone in trattamento antiretrovirale in quattro diverse province del paese. Non aver eseguito il test della conta dei CD4 prima di iniziare le cure risultava associato a un aumentato rischio di morte, con tutta probabilità per via di un’infezione opportunistica non diagnosticata.

    Un altro studio condotto in Botswana ha rilevato che un quarto delle persone che si presentano per iniziare le cure hanno ancora una conta dei CD4 inferiore a 200. Se però si considera chi inizia il trattamento con valori superiori a questa soglia, è bassissima la percentuale dei casi in cui i CD4 risultano scesi sotto i 200 in successive misurazioni, e per la maggior parte di loro risulta invece superiore. Gli autori hanno perciò concluso che per coloro che iniziano il trattamento con una conta superiore a 200 l’utilità di eseguire regolarmente il test dei CD4 è limitata, ma che il primo test resta essenziale per identificare gli individui con basse conte dei CD4.

    Link collegati
    Resoconto completo su aidsmap.com
    Webcast della presentazione dello studio dello Zambia sul sito ufficiale di CROI 2019
    Webcast della presentazione dello studio del Botswana sul sito ufficiale di CROI 2019

    Sudafrica, HIV farmacoresistente in una persona su sei prima dell’inizio del trattamento
    Un’ampia indagine condotta su famiglie sudafricane ha evidenziato che una persona HIV-positiva su sei che ancora non assume terapie presenta un ceppo HIV farmacoresistente, e oltre la metà di chi è già in cura ha una resistenza ad almeno un farmaco.

    Per l’indagine è stato utilizzato il metodo diagnostico del dried blood spot testing, che prevede l’analisi di un campione di sangue essiccato. Il test è stato effettuato su un campione trasversale della popolazione sudafricana. L’analisi ha mostrato che, tra coloro che già ricevevano le terapie antiretrovirali, il 55,7% presentava almeno una mutazione in grado di causare l’insorgenza di farmacoresistenze, più frequentemente ai farmaci delle classi degli inibitori non-nucleosidici della trascrittasi inversa (NNRTI) e degli inibitori della trascrittasi inversa nucleosidici e nucleotidici (NRTI). Tra coloro che invece non avevano mai assunto antiretrovirali, il 15,3% presentava una farmacoresistenza, tutti agli NNRTI.

    A seguito di questa presa di coscienza dell’entità del problema delle resistenze agli antiretrovirali, gli autori dello studio auspicano che sia data priorità all’impiego di inibitori dell’integrasi nei regimi di prima linea e venga potenziato il sostegno all’aderenza terapeutica per chi riceve i trattamenti. Sarà inoltre necessario procedere più precocemente allo switch terapeutico nei casi di fallimento, onde evitare che si sviluppino ulteriori farmacoresistenze.

    Sono invece più incoraggianti i risultati di uno studio separato, sempre presentato alla Conferenza, che ha riscontrato ottimi tassi di risposta virologica in individui che ricevevano una terapia antiretrovirale di seconda linea a base di dolutegravir, anche in casi in cui nel regime terapeutico era compreso un NRTI a cui era stata precedentemente evidenziata una resistenza.

    Link collegati
    Resoconto completo dello studio sulle farmacoresistenze HIV in Sudafrica su aidsmap.com
    Abstract dello studio sul sito ufficiale di CROI 2019
    Webcast della presentazione sul sito ufficiale di CROI 2019
    Resoconto completo dello studio sul dolutegravir per la terapia di seconda linea su aidsmap.com

    Inibitore del capside HIV in grado di consentire la soppressione virale a lungo termine
    Un inibitore sperimentale del capside dell’HIV si sarebbe dimostrato sicuro e potrebbe essere somministrato una sola volta ogni tre mesi o anche meno: è quanto si apprende dai risultati di un trial preliminare presentato a CROI 2019.

    Gli inibitori del capside sono una nuova classe di farmaci antiretrovirali che vanno a interferire con l’assemblaggio e il disassemblaggio del capside dell’HIV, ossia l’involucro proteico che racchiude il patrimonio genetico del virus.

    I dati presentati alla Conferenza sono il risultato di uno studio di fase I che ha valutato la sicurezza e le caratteristiche farmacocinetiche di questo nuovo inibitore – attualmente noto come GS-6207 – in 40 volontari HIV-negativi. Somministrato per iniezione sottocutanea, il farmaco sembrerebbe mantenersi a concentrazioni così elevate nel sangue da consentire potenzialmente la somministrazione una volta ogni tre mesi, e si sarebbe inoltre dimostrato ben tollerato.

    Link collegati
    Resoconto completo su aidsmap.com
    Abstract dello studio sul sito ufficiale di CROI 2019
    Webcast della presentazione sul sito ufficiale di CROI 2019

    Screening del tumore al polmone nelle persone HIV+, meglio iniziare prima
    Da uno studio presentato a CROI 2019 emerge che le persone con HIV, e in particolar modo le donne, potrebbero sviluppare il tumore al polmone in età più precoce e con minor esposizione al fumo rispetto alla popolazione generale. Le persone con HIV sono più inclini al fumo, ma a questa disparità potrebbero anche contribuire altri fattori come il sistema immunitario compromesso e altri fattori HIV-correlati.

    Gli autori intendevano valutare se i criteri adottati nello studio statunitense National Lung Screening Trial possono considerarsi efficaci per individuare il tumore al polmone anche negli uomini e nelle donne con HIV. Negli Stati Uniti è raccomandato lo screening annuale delle persone di età compresa tra i 55 e gli 80 anni con esposizione al fumo pari ad almeno 30 pacchetti/anno (dove per pacchetti/anno si intende fumare 20 sigarette al giorno per un anno), sia che siano ancora fumatori attivi, sia che abbiano smesso nel corso degli ultimi 15 anni. In due ampie coorti di persone con HIV, però, soltanto il 6% delle donne e il 24% degli uomini con tumore al polmone rientravano in questi parametri. I ricercatori hanno dunque concluso che per individuare più efficacemente la patologia nelle persone con HIV sarebbe meglio abbassare la soglia sia in termini di età che di anni di esposizione al fumo.

    Uno studio separato ha invece preso in considerazione i fattori di rischio per tumore al fegato in un gruppo di individui HIV-positivi che partecipavano al Veterans Aging Cohort Study. L’analisi ha coinvolto 2497 persone con fibrosi o cirrosi in stadio avanzato e 29.836 con fibrosi di entità moderata o lieve o privi di fibrosi. Nel corso del follow-up, è stato diagnosticato un tumore epatico a 278 pazienti, il 47% dei quali non presentavano fibrosi o cirrosi in stadio avanzato. La coinfezione con epatite B o C è risultata associata a più alte probabilità di tumore epatico indipendentemente dallo stadio della fibrosi. Tra coloro che non presentavano fibrosi estesa, un’elevata carica virale o una conta dei CD4 inferiore a 200 sono risultate associate a un rischio maggiore di sviluppare la patologia.

    Link collegati
    Resoconto completo dello studio sul tumore al polmone su aidsmap.com
    Abstract dello studio sul sito ufficiale di CROI 2019
    Webcast della presentazione sul sito ufficiale di CROI 2019
    Resoconto completo dello studio sul tumore al fegato su aidsmap.com

    Tassi più alti di infezione HIV in bambini nati da madri HIV+ con elevata carica virale dell’epatite B
    Uno studio presentato a CROI 2019 ha riscontrato che le donne con coinfezione HIV/epatite B e con carica virale dell’epatite B elevata erano più a rischio di partorire bambini HIV-positivi rispetto a donne con monoinfezione HIV o con carica virale dell’epatite B meno elevata.

    L’analisi si basa sui dati provenienti da uno studio condotto nell’Africa sub-sahariana tra il 2007 e il 2010 e ha coinvolto 2016 madri e 2041 bambini.

    Dopo aver aggiustato i dati tenendo conto della conta CD4 delle madri, della loro età e del trattamento HIV che assumevano, è risultato che i bambini nati da madri con cariche virali dell’epatite B elevate avevano maggiori probabilità di contrarre l’HIV (20%) rispetto a quelli nati da madri con la sola infezione HIV (4%) o con cariche virali dell’epatite B non elevate (0%).

    È risultato inoltre che un’elevata carica virale dell’epatite B aumentava il rischio di problemi alla nascita, tra cui il sottopeso.

    La dott.ssa Debika Bhattarcharya, che ha presentato i dati, ha concluso dunque che ridurre la carica virale dell’epatite B apporta benefici che vanno al di là della prevenzione della trasmissione perinatale dell’epatite B.

    Link collegati
    Resoconto completo su aidsmap.com
    Abstract dello studio sul sito ufficiale di CROI 2019
    Webcast della presentazione sul sito ufficiale di CROI 2019

    Ben tollerata la terapia a base di dolutegravir in combinazione con trattamento profilattico anti-TB 3HP
    In uno studio presentato a CROI 2019, la combinazione di un regime antiretrovirale a base di dolutegravir e un breve ciclo di terapia con rifapentina e isoniazide (3HP) somministrata come trattamento profilattico per la tubercolosi (TB) latente si è dimostrata ben tollerata e non ha dato reazioni avverse.

    Il dolutegravir è raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per coloro che iniziano per la prima volta le terapie antiretrovirali; la stessa OMS raccomanda però anche trattamento profilattico delle persone con TB latente con 12 somministrazioni settimanali di 3HP nei paesi dove l’incidenza di questa malattia è elevata. Eventuali interazioni farmacologiche potrebbero costituire un problema per le persone con HIV, ed è per questo che è stato condotto questo studio mirato a valutare se i due trattamenti possano essere assunti contemporaneamente in sicurezza.

    Hanno partecipato allo studio 60 persone con HIV che hanno assunto dolutegravir (una somministrazione giornaliera, 50mg) con tenofovir ed emtricitabina (Truvada) più una dose settimanale di 3HP (900mg di rifapentina e 900mg di isoniazide) per 12 settimane. Tramite un’analisi farmacocinetica dei loro campioni ematici si è condotta una valutazione dell’impatto del trattamento profilattico sui livelli di dolutegravir.

    Il risultato è stato che effettivamente i livelli di dolutegravir risultavano ridotti, ma i valori mediani più bassi erano comunque al di sopra del valore-obiettivo, e tutti i partecipanti sono riusciti a mantenere non rilevabile la carica virale.

    Link collegati
    Resoconto completo su aidsmap.com
    Abstract dello studio sul sito ufficiale di CROI 2019
    Webcast della presentazione sul sito ufficiale di CROI 2019

    La ‘cura più soft’ con la terapia genica rallenta il rebound virale in alcuni pazienti che sospendono le terapie antiretrovirali
    La notizia di questa edizione della Conferenza su Retrovirus e Infezioni Opportunistiche che ha avuto maggior risonanza è che una seconda persona potrebbe essere stata curata dall’HIV a seguito di un trapianto di midollo osseo. Ma si tratta di una procedura estremamente rischiosa che non verrebbe mai tentata in un paziente non affetto da un tumore.

    L’intervento ha funzionato perché i linfociti T del paziente HIV-positivo sono stati sostituiti da cellule immunitarie di un donatore che era portatore di una mutazione genetica nota come CCR5-delta 32, a causa della quale queste cellule sono prive di un recettore, detto appunto CCR5, generalmente presente sulla loro superficie e che la maggior parte dei ceppi HIV sfrutta per agganciare e conseguentemente infettare la cellula stessa.

    In un altro studio anch’esso presentato a CROI, i ricercatori hanno riprodotto artificialmente questa mutazione genetica usando un metodo più sicuro e soprattutto replicabile: hanno coltivato i linfociti T di 15 persone con HIV per modificarli con una tecnica che sfrutta enzimi di modifica genica chiamati nucleasi a dita di zinco, con cui si ottiene lo stesso risultato.

    Le cellule sono state poi reinfuse nei pazienti, che otto settimane dopo hanno interrotto l’assunzione di antiretrovirali per un periodo stabilito di 16 settimane. In tutti i partecipanti, l’HIV ha fatto la sua ricomparsa, con la carica virale che è tornata rilevabile; per di più, la quantità di linfociti resi CCR5-negativi ha iniziato lentamente a diminuire.

    Ci sono persone che presentano naturalmente una copia del gene CCR5-delta-32: tra i partecipanti allo studio, erano cinque su quindici. Le rilevazioni dimostrano che in questo sottogruppo la carica virale ha impiegato più tempo a tornare rilevabile. Due dei partecipanti non hanno ricominciato ad assumere antiretrovirali fino a 20 e 32 settimane dopo la sospensione della terapia.

    La sperimentazione dunque non ha ottenuto la remissione a lungo termine, ma rappresenta comunque una dimostrazione di un metodo più sicuro, replicabile e privo di tossicità per creare una popolazione di linfociti T resistenti all’HIV che possono essere reinfusi nell’organismo, rallentando in certa misura il rebound virale.

    Link collegati
    Resoconto completo su aidsmap.com
    Abstract dello studio sul sito ufficiale di CROI 2019
    Webcast della presentazione sul sito ufficiale di CROI 2019

    Altre notizie dal CROI

    - Autotest utile metodo diagnostico per i partner di persone HIV+, ma resta il problema dell’aggancio alle cure. Resoconto completo (in inglese)
    - Stati Uniti, PrEP assunta in media per 14 mesi. Resoconto completo (in inglese)
    - Thailandia, poco seguito dato ai buoni risultati ottenuti nella lotta all’HIV. Resoconto completo (in inglese)
    - Africa, molteplici i vantaggi dell’ampliamento dell’approccio ‘test and treat’ universale. Resoconto completo (in inglese)
    - TAF, combinato per PrEP in ovulo a rapido discioglimento risulta efficace nella prevenzione dell’infezione da HIV nei primati; meno efficace la somministrazione intermittente per via orale. Resoconto completo (in inglese)
     
    Top
    .
18 replies since 1/3/2019, 10:47   422 views
  Share  
.