Aids/Hiv Forum - Sieropositivi

Posts written by artois

  1. .
    Pazienti naive

    Combinazioni con 2 nRTI
    L'associazione di 2 nRTI è considerata uno standard della terapia antiretrovirale, ed in letteratura esistono moltissimi dati sulle varie combinazioni di questi farmaci. Vi sono tuttavia alcune combinazioni che non sono panRTIcolarmente studiate, ed altre che sono addirittura controindicate.
    Associazioni consigliate:
    Zidovudina + Didanosina o Zalcitabina (AZT + ddI/ddC)
    Molti studi, prevalentemente in era pre-HAART, hanno dimostrato l'efficacia di queste combinazioni nel migliorare l'evoluzione clinica dell'infezione da HIV, rispetto alla monoterapia con AZT (1, 2). L'efficacia nel tempo si è comunque rivelata limitata rispetto alle triplici terapie.Nonostante la notevole esperienza clinica, queste combinazioni non sono panRTIcolarmente utilizzate nelle terapie con 3 farmaci, soprattutto a causa della minore tollerabilità rispetto ad altri regimi, e anche a causa della posologia sconveniente della didanosina.
    Zidovudina + Lamivudina (AZT + 3TC)
    L'efficacia di questa combinazione rispetto alla monoterapia, sia con AZT che con 3TC, è stata ampiamente dimostrata in diversi studi clinici effettuati nella metà degli anni '90 (3, 4, 5). Il beneficio clinico di questa associazione può essere spiegato almeno in parte dalla comparsa della mutazione M184V, che provoca resistenza al 3TC ma previene o recupera la resistenza all'AZT (6).L'associazione AZT/3TC è disponibile anche in un solo farmaco, il Combivir, caratterizzato da uno schema posologico molto favorevole (1 sola compressa due volte al giorno).
    Stavudina + Didanosina (d4T + ddI)
    Questa combinazione inizialmente era stata poco considerata per il rischio di neurotossicità (entrambi i farmaci possono provocare neuropatia periferica); in seguito però numerosi studi clinici ne hanno dimostrato la buona efficacia ed una discreta tollerabilità (7, 8). Lo studio ALBI, pubblicato nel 1999, ha inoltre dimostrato la superiorità di questa associazione rispetto a quella con AZT/3TC in pazienti naive con CD4 > 200 (9). Anche lo studio START II ha confrontato queste due combinazioni, entrambe in associazione all'Indinavir: la risposta virologica è stata migliore nel gruppo trattato con d4T/ddI, anche se con l'analisi intent-to-treat la differenza non è risultata significativa (10).Un importante argomento a supporto di questa associazione dovrebbe essere la scarsa comparsa di resistenze. La mutazione V75T, comunemente osservata in vitro, viene riscontrata di rado in vivo in pazienti che hanno assunto il d4T per lungo tempo. Recenti lavori hanno però evidenziato la comparsa di mutazioni associate a resistenza all'AZT in pazienti che avevano assunto solo il d4T (M41L, K70R, T215Y/F), suggerendo quindi la possibilità di una cross-resistenza tra questi due farmaci (11, 12). Sono attualmente in corso ampi studi prospettici per stabilire definitivamente la possibilità di resistenza crociata tra le combinazioni d4T/ddI e AZT/3TC.
    Stavudina + Lamivudina (d4T + 3TC)
    A causa della panRTIcolare semplicità posologica e della buona tollerabilità questa combinazione è stata ampiamente utilizzata, anche in assenza di documentazioni cliniche adeguate. Ad ogni modo successivi studi clinici, quali lo studio ALTIS (13) e l'ACTG 306 (14) hanno confermato l'efficacia virologica di questa associazione.

    Associazioni da evitare:
    Zidovudina + Stavudina (AZT + d4T)
    Questi due farmaci sono entrambi degli analoghi della Timidina, e per il loro metabolismo intracellulare competono per lo stesso enzima, la timidina-chinasi; questo enzima ha una affinità di 600 volte maggiore per l'AZT rispetto al d4T. I due farmaci in vitro si sono rivelati antagonisti.Nello studio ACTG 290, il gruppo di pazienti che assumeva AZT + d4T aveva avuto un netto calo dei linfociti CD4, e per tale motivo lo studio era stato precocemente sospeso (15).
    Zalcitabina + Didanosina e Zalcitabina + Stavudina (ddC+ddI e ddC+d4T)
    Sebbene non vi siano dati clinici relativi a queste combinazioni, la potenziale somma degli effetti neurotossici sconsiglia l'impiego di questi farmaci in associazione.
    Didanosina + Lamivudina e Zalcitabina + Lamivudina (ddI+3TC e ddC+3TC)
    I dati dello studio ACTG 306 hanno indicato che l'aggiunta del 3TC al ddI non comporta nessun beneficio virologico (14). L'associazione di 3TC e ddC invece non è mai stata adeguatamente valutata.

    Combinazione di 2 nRTI con 1 IP
    Questo tipo di combinazione terapeutica è sicuramente quella maggiormente supportata dai dati della letteratura; tuttavia su questa opzione si possono effettuare alcune considerazioni, valutandone pro e contro:
    Vantaggi:
    · ci sono moltissimi studi clinici a supporto di questa combinazione; · una soppressione della replicazione virale a lungo termine (> 72 settimane), con miglioramento della sopravvivenza e del periodo "libero da malattia", è stata dimostrata solo con questi schemi terapeutici; · la soppressione della replicazione virale è stata dimostrata anche in alcuni cosiddetti reservoirs, come il sistema nervoso centrale e gli organi genitali; · gli IP, diversamente dagli nRTI e dagli NNRTI, hanno una alta "barriera genetica": richiedono cioè la presenza di più mutazioni perchè si possa instaurare una resistenza ai farmaci (NB: per maggiori dettagli vedi le pagine della sezione Mutazioni e Resistenza ); · solo gli IP sono stati studiati, e si sono dimostrati efficaci, in pazienti con infezione avanzata (con CD4 < 50/mmc); · un fallimento virologico precoce di solito è associato ad un basso grado di resistenza, contrariamente a quanto accade con gli NNRTI (16 - 19).
    Svantaggi:
    · a causa delle sfavorevoli caratteristiche farmacocinetiche, la maggior parte degli IP richiede panRTIcolari condizioni dietetiche e numerose somministrazioni quotidiane, rendendo così difficile una adeguata aderenza per tempi prolungati; · gli IP sono gravati da molte interazioni con altri farmaci, antiretrovirali e non; · è comune osservare una cross-resistenza tra i vari IP, rendendo difficile un impiego sequenziale dei farmaci di questa classe (20); · questi farmaci sono gravati da una serie di effetti a lungo termine, che spesso ne compromettono l'impiego in modo definitivo (NB: per maggiori dettagli sugli effetti collaterali, vedi le pagine della sezione Schede dei farmaci ).

    Combinazione di 2 nRTI con 1 NNRTI
    Questo tipo di trattamento, definito Protease-spearing, cioè "risparmiatore di IP", è diventato negli ultimi tempi sempre più di utilizzo comune, in quanto la sua efficacia è stata supportata da numerosi studi clinici, i quali hanno evidenziato una analoga efficacia ed una maggiore tollerabilità rispetto all'impiego degli IP.
    Vantaggi:
    · gli schemi posologici sono meglio tollerati rispetto a quelli degli IP, in quanto questi farmaci richiedono un minor numero di compresse ed un minor numero di somministrazioni; ·
    alcuni studi clinici (DuPont006 per l'Efavirenz, Atlantic per la Nevirapina) hanno dimostrato che l'efficacia è paragonabile a quella dei regimi con IP (*); · l'impiego iniziale degli NNRTI consente di "risparmiare" gli IP per un successivo impiego; · gli NNRTI non sono stati associati a panRTIcolare tossicità a lungo termine.

    Svantaggi:
    · l'efficacia a lungo termine non è così ben documentata con gli IP; ·
    non ci sono adeguati studi con end-points clinici (cioè basati sulla riduzione dei casi di malattia e del numero dei decessi); · c'è una elevata cross-resistenza tra i farmaci di questa classe, per cui una volta sviluppata resistenza ad uno di questi, anche gli altri non sono più utilizzabili; ·
    gli NNRTI hanno una debole "barriera genetica", per cui è sufficiente un'unica mutazione per conferire resistenza (NB: per maggiori dettagli vedi le pagine della sezione Mutazioni e Resistenza ).
    (*) Lo Studio DuPont006 ha confrontato le combinazioni di Efavirenz-Zidovudina-Lamivudina vs Indinavir-Zidovudina-Lamivudina vs Efavirenz-Indinavir. Dopo 72 settimane la prima combinazione ha dimostrato la maggiore efficacia virologica, sia con l'analisi intent-to-treat (più restrittiva) che con l'analisi as-treated. Un migliore andamento è stato osservato anche per quanto riguarda il tempo di insorgenza del fallimento virologico, la durata della risposta e la tollerabilità.
    Lo Studio Atlantic ha confrontato tre differenti regimi terapeutici in pazienti naive, basati sulle combinazioni di didanosina-stavudina con Nevirapina (un NNRTI) o Indinavir (un IP) o Lamivudina (un nRTI). I risultati pubblicati dopo 48 settimane hanno mostrato che nei tre gruppi le percentuali di pazienti con viremia < 50 copie era rispettivamente del 57%, 51% e 49%.
    Lo Studio Combine, tutt'ora in corso, confronta la combinazione di Zidovudina-Lamivudina con Nevirapina oppure Nelfinavir. Dopo 24 settimane la percentuale di pazienti con viremia negativa era addirittura maggiore nel gruppo che assumeva Nevirapina rispetto al gruppo in terapia con Nelfinavir, sia considerando l'analisi intent-to-treat (74,5% vs 60,3%) che l'analisi as-treated (91,7% vs 82,3%).
    Combinazione di 3 nRTI
    Questo schema terapeutico non appare ancora tra quelli consigliati dalle ultime Linee Guida di terapia antiretrovirale (gennaio 2000), principalmente a causa della scarsa quantità di dati pubblicati. Tuttavia la triplice terapia con nRTI sta suscitando un interesse sempre maggiore, in quanto consente di risparmiare in prima battuta sia gli IP che gli NNRTI.
    La combinazione maggiormente supportata è quella utilizzata nello Studio CNA 3005, dove una associazione di 3 nRTI contenente l'Abacavir è stata confrontata ad uno schema contenente Indinavir, dimostrando anche in questo caso una efficacia sovrapponibile (21).
    Vantaggi:
    · questa opzione consente di risparmiare due classi di farmaci; ·
    in caso di fallimento, sono quindi possibili ulteriori valide opzioni terapeutiche;
    · gli schemi posologici sono semplici e comodi per il paziente, e le interazioni tra i farmaci sono molto limitate.
    Svantaggi:
    · l'efficacia virologica è stata dimostrata in solo in pazienti con una bassa replicazione virale iniziale, mentre in persone con carica virale elevata, questa terapia si è dimostrata meno potente rispetto alle terapie standard; ·
    gli nRTI possono anch'esse avere effetti collaterali a lungo termine.

    Altre Combinazioni:
    PI + NNRTI
    Questo tipo di combinazione non ha suscitato finora panRTIcolare interesse, almeno nel caso di una prima terapia ARV. Sebbene queste combinazioni possano essere molto promettenti sul piano della potenza virologica, le interazioni e gli schemi posologici non panRTIcolarmente convenienti ne rendono l'impiego non consigliabile, se non nel caso di una terapia "di salvataggio". Inoltre, un eventuale fallimento di una terapia di questo tipo comprometterebbe in modo molto serio le opzioni successive.
    (NB: per maggiori dettagli sulle interazioni farmacologiche tra i vari farmaci antiretrovirali consulta le tabelle della sezione Le Interazioni dei Farmaci ).
    nRTI + PI + NNRTI
    Una terapia che comprenda farmaci appartenenti a tutte e tre le classi oggi disponibile appare vantaggiosa in linea teorica, in quanto consente di bloccare la replicazione virale utilizzando tutti i meccanismi disponibili. Tuttavia, in caso di fallimento, risulterebbe molto elevato il rischio di avere resistenze multiple nei confronti di tutte le classi, con seria compromissione delle opzioni terapeutiche successive.
    Un trattamento con questo tipo di schema dovrebbe essere pertanto riservato unicamente alle terapie di seconda o addirittura di terza linea, oppure a pazienti che debbano iniziare la terapia in condizioni panRTIcolarmente compromesse.
    2 NNRTI
    Il razionale che giustifica l'associazione di due NNRTI consiste nel potenziale incremento di esposizione complessiva a questi farmaci, e nel possibile "risparmio" di alcuni NnRTI. E' stato recentemente presentato uno studio che prevedeva l'impiego di Efavirenz e di Nevirapina, associati al ddI, tutti in monodose (29), sia in pazienti naive che in pazienti experienced. I risultati preliminari indicano che questo tipo di strategia terapeutica potrebbe avere dei buoni vantaggi.
    Combinazioni con 2 IP
    L'impiego di combinazioni terapeutiche contenenti due inibitori delle proteasi, inizialmente utilizzate solo per le terapie di salvataggio, sta acquistando sempre più interesse anche per le terapie di prima linea, grazie alla osservazione del fatto che associando in modo opportuno alcuni di questi farmaci si ottengono dei sostanziali benefici sulle caratteristiche farmacocinetiche delle singole molecole. Inoltre, vari studi hanno recentemente evidenziato che un incremento della esposizione al farmaco, misurata dalla concentrazione nel plasma e dalla AUC (area sotto la curva), influenza direttamente la risposta a lungo termine della terapia.
    Gli IP sono prevalentemente metabolizzati a livello del citocromo P-450, la cui azione ne abbrevia l'emivita e ne riduce la concentrazione. Alcuni IP sono tuttavia in grado di inibire l'azione del citocromo P-450, riducendo così l'eliminazione dei farmaci da questo metabolizzati. Il Ritonavir è il più potente inibitore del citocromo P-450, ed è pertanto in grado di aumentare la concentrazione plasmatica di altri IP, quali Saquinavir, Indinavir, Amprenavir e Lopinavir (ABT-378). Il Nelfinavir ha un metabolismo diverso, per cui la sua concentrazione non viene panRTIcolarmente influenzata dal Ritonavir.
    La principale conseguenza di questo tipo di interazione sta quindi nel fatto che la contemporanea presenza del Ritonavir consente di migliorare notevolmente le caratteristiche farmacocinetiche di altri IP; ciò comporta alcuni importanti vantaggi dal punto di vista clinico:
    - possibilità di passare da 3 a 2 somministrazioni al giorno (es. Indinavir e Saquinavir);
    - ridurre le dosi del secondi inibitore, con conseguente riduzione del numero di pastiglie;
    - eliminare le restrizioni dietetiche, dato che la migliorata farmacocinetica consente concentrazioni ematiche più stabili.
    Di seguito vengono forniti maggiori dettagli riguardo ad alcune delle combinazioni più studiate.
    Ritonavir + Saquinavir (RTV + SQV)
    Questa associazione è sicuramente quella più studiata, e per la quale sono stati ampiamente documentati i benefici in numerosi studi clinici (22, 23); per tale motivo risulta utilizzata sia nelle terapie di salvataggio che nelle terapie per i pazienti naive.Il Ritonavir ha un drastico impatto sulla farmacocinetica del Saquinavir, il che consente di ridurre notevolmente la dose ed il numero di somministrazioni di questo inibitore della proteasi. Impiegando il Saquinavir-Hard Gel (Invirase) i due farmaci vengono impiegati entrambi alla dose di 400 mg due volte al giorno (anziché 600 x 2 il Ritonavir e 600 x 3 il Saquinavir-HGC).Utilizzando invece il Saquinavir-Soft Gel (Fortovase), sono stati valutati differenti dosaggi: RTV 100 + FTV 1000 x 2, oppure, come dimostrato in uno studio di M. Saag, RTV 100 + FTV 1600 in un'unica somministrazione (32).
    Nelfinavir + Saquinavir (NFV + SQV)
    L'effetto del NFV sul SQV è meno intenso rispetto a quello del RTV, ma è comunque sufficiente a consentirne una riduzione della dose, mantenendo una analoga efficacia antivirale.Nello studio SPICE, eseguito con il Saquinavir Soft-Gel (SQV-SG), i vantaggi migliori dal punto di vista farmacocinetico sono stati ottenuti con dosi di SQV di 800 mg x 3 (anziché la dose standard di 1200 x 3), mantenendo il NFV alla solita dose di 750 x 3 (24).Lo studio TIDBID ha valutato questa associazione con le dosi di NFV 1250 x 2 e di SQV-SG 1600 x 2); la combinazione si è rivelata efficace, ma l'elevato numero di compresse ha provocato numerose interruzioni del trattamento (25).
    Ritonavir + Indinavir (RTV + IDV)
    Studi clinici effettuati dalla stessa MSD, la casa farmaceutica che produce l'Indinavir, avevano dimostrato l'inefficacia di questo farmaco quando somministrato solo due volte al giorno, rispetto alla tradizionale somministrazione tre volte al giorno (26)In seguito è stato osservato che il Ritonavir è in grado di inibire il metabolismo dell'Indinavir, per cui l'associazione di questi due farmaci ne aumenta la concentrazione; ciò consente di ridurre la dose dell'IDV e di poterlo assumere due sole volte al giorno, mantenendo invariata (e forse addirittura aumentata) l'efficacia terapeutica (27, 28). E' inoltre possibile in questo modo evitare le restrizioni dietetiche solitamente necessarie per l'IDV (assunzione a digiuno ed abbondante idratazione durante il giorno).Sebbene non vi siano dei dati comparativi sulla efficacia virologica, i dosaggi più utilizzati per la combinazione IDV+RTV sono di mg 400/400 x 2, 800/100 x 2 oppure 800/200 x 2. Quest'ultimo dosaggio è stato sopratutto utilizzato nella terapia "di salvataggio".Un recente studio pubblicato sul numero di giugno 2000 di AIDS ha documentato l'efficacia e la tollerabilità dell'associazione di questi due IP, alla dose di 400/400 mg x 2 al giorno: dopo 24 settimane l'80% dei pazienti in trattamento aveva una viremia < 80 copie (30). Sullo stesso numero della rivista è stato pubblicato anche un altro studio, nel quale si dimostra come nei pazienti sottoposti a questa associazione di IP (dose utilizzata: 800/100 x 2 al giorno) si ottenga un significativo aumento di concentrazione dell'Indinavir non solo nel sangue, ma anche in alcuni distretti corporei solitamente difficili da raggiungere per i farmaci, come il tratto genitale maschile ed il sistema nervoso centrale (31).E' in fase di studio anche un'altra combinazioni con dosi ulteriormente ridotte: IDV 400 + RTV 100 x 2.
    Ritonavir + Amprenavir (RTV + APV)Questa associazione è in fase di studio con dosi di: APV 600 + RTV 100 x 2.
    Pazienti experienced
    Fallimento di una prima HAART
    Questo tipo di situazione viene distinta dal caso in cui si verifichino più fallimenti terapeutici successivi, in quanto le considerazioni da fare per la scelta di una terapia alternativa cambiano notevolmente.
    Per i pazienti che subiscono un fallimento alla prima terapia praticata, ci sono molti dati che possono supportare la scelta di un regime terapeutico di seconda linea.
    Fallimento ad un regime contenente IP
    In questi casi la scelta per una opzione successiva risulta complicata dalla diffusa cross-resistenza dei farmaci di questa classe. Sebbene ci sia una discreta variabilità tra i vari IP per quanto riguarda la mutazione primaria, praticamente tutti questi farmaci provocano la comparsa anche di mutazioni secondarie, spesso responsabili di resistenze crociate.
    Pazienti che proseguono la terapia nonostante un valore di viremia che ritorna verso i livelli iniziali possono sviluppare numerose mutazioni secondarie, le quali possono poi portare a resistenza verso tutti gli IP attualmente disponibili. Se invece la terapia viene modificata precocemente dopo il fallimento virologico, allora possono rimanere maggiori possibilità di efficacia di altri IP, anche se i dati clinici su questo argomento sono piuttosto limitati.
    · Fallimento con Nelfinavir
    La mutazione principale associata a resistenza al Nelfinavir è la D30N, la quale non provoca resistenza crociata verso gli altri IP (1). Per tale motivo i pazienti che sviluppano questa mutazione possono rispondere in modo ottimale a regimi contenenti Indinavir o Saquinavir (2, 3). E' però possibile anche l'insorgenza della mutazione L90M, la quale invece comporta resistenza crociata (4). Nel caso sia presente questa mutazione, la scelta di una terapia alternativa dovrà quindi forzatamente cadere su di un regime contenente NNRTI.
    · Fallimento con Indinavir o Ritonavir
    La resistenza a questi due farmaci comporta spesso l'insorgenza di una cross-resistenza ad alto grado verso tutti gli altri IP. Alcuni studi, come l'ACTG 359 e l'ACTG 372, hanno studiato pazienti con insuccesso ad una prima terapia contenente Indinavir. I risultati hanno mostrato che una modifica precoce della terapia comporta un evoluzione migliore (come già detto per il Nelfinavir). Inoltre si è evidenziato che lo switch ad una terapia con NNRTI fornisce le probabilità migliori di ottenere una soddisfacente risposta virologica (5).
    · Fallimento con Saquinavir
    La resistenza al Saquinavir dipende dalla comparsa delle mutazioni L90M o G48V, entrambe correlate ad una significativa cross-resistenza con gli altri IP. Nello studio ACTG 333 i pazienti pretrattati con Saquinavir hanno avuto una risposta molto limitata ad un successivo trattamento con Indinavir (6).

    Fallimento ad un regime contenente NNRTI
    La classe degli NNRTI è caratterizzata da una elevata cross-resistenza tra i vari farmaci, almeno per quanto riguarda quelli attualmente disponibili. Per tale motivo non è razionale ipotizzare un secondo regime terapeutico contenente un altro NNRTI; l'alternativa resta pertanto l'impiego di un regime basato sugli IP, anche se sono in corso sperimentazioni con NNRTI di seconda generazione, che dovrebbero conservare una efficacia virologica anche verso ceppi resistenti ai primi NNRTI.
    Dato che la prosecuzione della terapia con NNRTI in corso di incompleta soppressione virologica comporta l'insorgenza di mutazioni secondarie, appare ragionevole sospendere il trattamento in questi casi (7).

    Fallimenti multipli
    Non esistono ancora dati sufficienti per i pazienti ampiamente trattati, e che hanno avuto fallimenti virologici a due o più differenti regimi terapeutici, o che hanno sviluppato resistenze multiple verso tutte le tre classi di farmaci ARV.
    L'ACTG 398 è lo studio più ampio che finora sia mai stato condotto sui pazienti con fallimenti multipli (8). E' stata utilizzata la combinazione di Efavirenz + Abacavir + Adefovir, associati ad Amprenavir da solo oppure ad Amprenavir + un altro IP. Complessivamente la risposta virologica è stata piuttosto scarsa, con un andamento migliore nei pazienti che erano naive per gli NNRTI rispetto agli NNRTI experienced (43% vs 16% con viremia < 200 dopo 24 settimane). Anche i pazienti che assumevano 2 IP hanno avuto una risposta migliore rispetto a quelli che assumevano Amprenavir da solo. Si è comunque osservata una elevata percentuale di sospensioni della terapia: alla 24a settimana più della metà dei pazienti aveva sospeso la terapia: il 33% per tossicità ed il 19% per inefficacia.

    Interruzioni programmate della terapia (STI)
    Sono in corso vari studi sulle STI. Il razionale per questo tipo di approccio si basa sulla possibilità che la sospensione della pressione farmacologica possa indurre una ricomparsa del ceppo virale cosiddetto wild-type, cioè il virus non mutato, e quindi non resistente ai farmaci. La ripresa della terapia dopo settimane o mesi, in teoria, potrebbe così riportare ad una efficace soppressione della replicazione virale.
    Per maggiori dettagli su questo argomento, vedi le pagine della sezione Ripristino dell'Immunità specifica anti-HIV .
    Terapie di "Semplificazione"
    Sono attualmente in corso vari studi volti a dimostrare l'efficacia di una terapia "semplificata" in pazienti che abbiano in corso una HAART efficace. Considerata infatti la potenziale tossicità a lungo termine di farmaci quali gli inibitori della proteasi (in particolar modo per ciò che riguarda le complicanze metaboliche, come la lipodistrofia), e la loro difficile modalità di assunzione che spesso riduce la qualità della vita nei pazienti che li devono assumere, si è ipotizzato di modificare il trattamento antiretrovirale, utilizzando farmaci generalmente più maneggevoli e meglio tollerati. In particolare a questo scopo possono essere utilizzati gli NNRTI, oppure schemi con 3 NRTI, oppure con 2 IP, utilizzando in questo caso il Ritonavir a basse dosi come booster per migliorare la farmacocinetica di altri IP, e quindi ridurne le dosi e/o il numero di somministrazioni quotidiane.
    Vengono qui di seguito brevemente descritti alcuni studi disegnati per questo scopo.
    IP NNRTI
    Da IP a NVP o EFV (Negredo - 1 ):
    In questo studio 77 pazienti con viremia negativa da almeno 12 mesi sono stati randomizzati a proseguire il trattamento con IP oppure a cambiare con Nevirapina o con Efavirenz. Al momento dello switch il 59% dei pazienti aveva una lipodistrofia. Nessuno di questi ha avuto un miglioramento della lipodistrofia dopo 24 settimane dallo switch. Si è però avuto un calo significativo dei valori di trigliceridi e di colesterolo (più evidente nel gruppo con Nevirapina). L'efficacia virologica è stata mantenuta in entrambi i gruppi sottoposti a switch.
    Da IP a EFV (Studio DMP 266-049 - 2 )
    310 pazienti con viremia negativa dopo un primo regime terapeutico contenente IP sono stati randomizzati a proseguire la stessa terapia oppure ad assumere Efavirenz. Dopo 48 settimane la risposta virologica è risultata significativamente migliore nel gruppo trattato con Efavirenz (89% vs 81% con l'analisi ITT). I valori di colesterolo totale sono rimasti invariati, mentre c'è stato un incremento del valore di colesterolo HDL. Non sono stati riportati dati sui trigliceridi e sulla lipodistrofia.
    Secondo gli Autori i risultati virologici sono spiegati dalla minore aderenza osservata nel gruppo trattato con IP.
    Da IP a NVP (Ruiz - 3 ):
    Pazienti con viremia non rilevabile da almeno 9 mesi sono stati randomizzati a ricevere Nevirapina, oppure a proseguire il regime terapeutico con IP. Nel gruppo trattato con Nevirapina si è osservata una significativa riduzione di colesterolo e trigliceridi, ma la lipodistrofia è rimasta invariata. Il dato più rilevante è stato il miglioramento della qualità della vita, dovuto sia alla semplificazione del regime di trattamento, sia al miglioramento dello stato psico-fisico causato dalla riduzione degli effetti collaterali.
    Da IP a NVP (Studio Maintavir - 4):
    In questo studio osservazionale è stata riportata una significativa riduzione dei valori di trigliceridi dopo lo switch da IP a Nevirapina, mentre i valori di colesterolo erano rimasti sostanzialmente invariati. Invariata anche la lipodistrofia, mentre risultava migliorata la qualità di vita.
    Una ripresa della replicazione virale è stata osservata in 10/73 pazienti, con valori di viremia comunque molto bassi (mediamente 915 copie), controllati da un ripristino della terapia con IP. Questi rebound virologici erano comparsi prevalentemente in pazienti pluritrattati con NRTI.
    IP Abacavir
    Studio Opravil (5):
    In questo studio sono stati inseriti pazienti con viremia negativa dopo oltre 6 mesi di terapia con IP, e che non avevano la mutazione 215Y (associata con alto grado di resistenza alla Zidovudina). 79 pazienti sono stati randomizzati a proseguire la terapia con IP, mentre 84 sono passati ad Abacavir (con Zidovudina e Lamivudina). In questo gruppo si è osservata una significativa riduzione dei valori di colesterolo dopo un follow up medio di 68 settimane. Si è però osservato un peggiore andamento virologico, con un fallimento virologico nel 13% dei pazienti contro il 2% nel gruppo trattato con IP.
    Studio CNA 30017 (6):
    Pazienti in terapia HAART efficace (HIV-RNA < 50) con 2 NRTI + 1 IP da un periodo di tempo di almeno 6 mesi, sono stati randomizzati in due gruppi: prosecuzione della terapia in atto, oppure sostituzione dell'IP con l'Abacavir.
    Dopo 48 settimane si è osservato un maggior numero di fallimenti virologici nel gruppo con Abacavir (4 vs 2), ma con l'analisi ITT la risposta è stata complessivamente migliore in questo gruppo; secondo gli Autori ciò è dovuto, oltre ad una valida efficacia antivirale, anche per il maggior numero di effetti collaterali osservato nel gruppo che ha proseguito l'IP, e che ha spesso condotto alla sospensione del trattamento. Nel gruppo con Abacavir si è inoltre osservato un intervallo più lungo dall'inizio del trattamento al fallimento virologico. Sempre nel gruppo con Abacavir si è osservata una significativa riduzione dei valori di trigliceridi e di colesterolo rispetto al gruppo con IP. E' risultata migliorata anche la qualità di vita.
    In conclusione, sembra di poter dire che nei pazienti sottoposti a switch, con NNRTI o con Abacavir, si mantenga una valida risposta virologica, e che vi sia indubbiamente un miglioramento della aderenza e della qualità della vita. Sebbene si sia generalmente osservato un miglioramento dei valori di colesterolo e trigliceridi, non è stata però dimostrata nessuna variazione clinica nei pazienti affetti da lipodistrofia. Questi studi però spesso non fornivano dati sufficienti per trarre delle conclusioni definitive sugli aspetti legati alle alterazioni metaboliche.
    IP 2 IP
    Studio BEST
    Pazienti in terapia da almeno 4 mesi con Indinavir alla dose standard di mg 800x3, e con HV-RNA < 500 e CD4 > 100 sono stati randomizzati a proseguire l'IDV alla stessa dose, oppure a passare alla terapia di combinazione con IDV mg 800x2 + RTV mg 100x2. In questo modo la riduzione delle somministrazioni giornaliere dovrebbe favorire la compliance al trattamento.
    Dopo 36 settimane la risposta virologica è risultata sovrapponibile, con le stesse percentuali di pazienti che avevano viremia < 50. Nel gruppo IDV/RTV si è però osservata una maggiore percentuale di effetti collaterali di tipo gastroenterico; ciò era dovuto essenzialmente allo sciroppo di Ritonavir, dato che questi effetti si sono poi ridotti quando si è passati alla somministrazione delle capsule.
  2. .
    Introduzione

    Il problema della tollerabilità della terapia HAART si è delineato sempre più come uno dei problemi che,insieme a quello dell’aderenza, limita l’efficacia del trattamento.
    Infatti ai numerosi dati sull’efficacia dei nuovi regimi terapeutici si sono da subito affiancate segnalazioni di un numero sempre crescente di reazioni avverse; in particolare l’impiego su vasta scala degli inibitori della proteasi ha messo in rilievo una serie di eventi poco evidenziati dagli studi clinici controllati che hanno permesso la registrazione di questi farmaci. Il motivo della discrepanza dei dati di tollerabilità emersi dai trials clinici e di quelli evidenziati nella pratica clinica è di ordine metodologico. E’ noto che lo scopo principale della ricerca clinica è quello di valutare l’efficacia di un farmaco; per questo motivo vengono disegnati modelli sperimentali atti a validare un determinato intervento terapeutico ma che presentano inevitabilmente alcuni limiti nella rilevazione degli eventi avversi. Ad esempio, le dimensioni del campione di un trial clinico sono calcolate per rispondere a quesiti di efficacia e non per rilevare eventi avversi. Inoltre, in quasi tutti i trials clinici la durata del trattamento sperimentale non permette di raggiungere adeguate informazioni in relazione ad effetti avversi che possano comparire nel medio e nel lungo termine. Questi motivi, insieme alla necessità di utilizzare rapidamente farmaci di cui era nota l’efficacia in una patologia a grave prognosi, come l’infezione da HIV, ha avuto come conseguenza il fatto che gran parte degli eventi avversi acuti e tutta la tossicità a lungo termine si siano evidenziati nella pratica clinica. Il fatto che i vari regimi terapeutici proposti prevedano l’utilizzo di farmaci in associazione e che spesso i pazienti abbiano in precedenza utilizzato terapia con altri antiretrovirali, ha reso e rende tuttora difficoltosa l’attribuzione di un evento avverso ad un preciso farmaco.
    Sempre più sembra diventare evidente che, ad eccezione di alcuni quadri in genere a comparsa rapida, sicuramente attribuibili all’utilizzo di un particolare farmaco, la comparsa di eventi avversi sia la conseguenza dell’attività di farmaci che si potenziano fra loro. Per questo motivo riteniamo sia a tutt’oggi più appropriato parlare di tossicità da HAART, e a questo concetto ci atterremo durante la trattazione, non affrontando problemi di tipo patogenetico che sono ancora ampiamente in discussione.
    E’ nostro intento fornire informazioni utili nell’identificare i più comuni eventi avversi suddividendoli, nei limiti del possibile, in precoci, che tratterremo per apparato, e a insorgenza tardiva.
    Tossicità Mitocondriale
    Il Mitocondrio è un organulo cellulare all'interno del quale avviene la produzione di energia sotto forma di ATP; i mitocondri sono dotati di un proprio DNA, diverso quindi da quello della cellula, che si replica mediante l'enzima DNA-polimerasi gamma.
    Alcuni farmaci antiretrovirali, come in particolare gli inibitori nucleosidici della transcriptasi inversa (nRTI), vengono metabolizzati all'interno della cellula prima di essere convertiti nella loro forma attiva, e sono in grado di inibire la DNA polimerasi gamma riducendo così la quota di DNA presente all'interno del mitocondrio (Figura 1). Questa deplezione di DNA a sua volta provoca una ridotta produzione delle proteine mitocondriali, cui consegue una minor produzione di energia.
    Questo danno a livello mitocondriale rappresenta verosimilmente il meccanismo attraverso il quale hanno origine diverse complicanze che si possono osservare in corso di terapia antiretrovirale, come per esempio la pancreatite, la neuropatia periferica, l'acidosi lattica, la steatosi epatica e la lipodistrofia (Tabella 1).
    La capacità di inibire la DNA polimerasi gamma non è uguale per tutti gli nRTI, ma varia nel seguente modo: ddC > ddI > d4T > 3TC > AZT > ABC.

    Sede Tossicità Farmaci correlati
    Sistema Neuromuscolare
    Polineuropatia Didanosina (DDI) - Zalcitabina (DDC) - Stavudina (d4T)
    Fegato Acidosi lattica, steatosi Tutti gli NRTI
    Pancreas Pancreatite Didanosina (DDI) - Stavudina (d4T)
    Midollo osseo Neutropenia, Anemia Zidovudina (AZT)
    Tessuto adiposo Lipodistrofia Stavudina (d4T) - Altri NRTI ?
    L'acidosi lattica e la pancreatite rappresentano sicuramente le manifestazioni patologiche più gravi e potenzialmente fatali.
    Cute e annessi
    Spesso i pazienti in trattamento con HAART, soprattutto se sono inclusi IP, riferiscono secchezza della cute e delle mucose, in particolare delle labbra. In alcuni casi compaiono anche manifestazioni a carico degli annessi quali alopecia e perionissi.
    Alopecia
    Sono riportate in letteratura alcune segnalazioni relative alla comparsa di alopecia in pazienti trattati con IP e in particolare con Indinavir. La manifestazione colpisce il cuoio capelluto, la regione pubica e ascellare e la cute degli arti inferiori e si presenta spesso in forma aerata coinvolgendo anche vaste zone. Non sempre regredisce alla sospensione del trattamento che rimane però l’unica possibilità.
    Perionissi
    Si tratta di un processo infiammatorio che coinvolge il tessuto periungueale con eritema, edema ed essudazione; interessa in genere le unghie dei piedi e può coinvolgere una o più dita. L’intensità del processo infiammatorio varia da paziente a paziente, ma può essere molto doloroso e rendere difficoltosa la deambulazione.
    In alcuni studi è stato associato al trattamento con lamivudina, in altri a quello con indinavir. In genere regredisce alla sospensione della terapia. Utile il trattamento antibiotico; in alcuni casi può essere indicata l’escissione chirurgica dell’unghia.
    Rash cutanei e reazioni di ipersensibilità
    E’ noto che i pazienti con infezione da HIV presentano reazioni di ipersensibilità a farmaci con frequenza aumentata rispetto alla popolazione generale; in particolare questo problema si è evidenziato sin dai primi anni per i trattamenti con sulfamidici.
    Reazioni di ipersensibilità sono state descritte anche in pazienti in terapia con antiretrovirali e l’identificazione del responsabile è stata spesso difficoltosa in conseguenza dell’utilizzo di due o più farmaci.
    Una reazione di ipersensibilità si presenta nel 3-20% dei trattamenti, anche se spesso si tratta di manifestazioni di modesta entità. L’ipersensibilità a farmaci è caratterizzate nella maggior parte dei casi dalla comparsa di un esantema maculo-papuloso diffuso, intensamente pruriginoso, accompagnato o no a febbre (Figura 1).

    Reazione allergica a farmaci, manifestata con un esantema
    maculo-papuloso di tipo morbilliforme.
    Raramente sono state descritte manifestazioni allergiche più tipiche quali orticaria e angioedema. Si tratta in genere di reazioni ritardate che compaiono più frequentemente nelle prime due settimane di terapia. Possono accompagnarsi a febbre anche elevata e artromialgie. La febbre, se presente, regredisce rapidamente, in genere in 24 ore, dopo la sospensione del farmaco.
    Più raramente, ma comunque sempre con frequenza superiore alla popolazione generale, è stata descritta la comparsa di sindrome di Stevens-Johnson e sindrome di Lyell; questa evenienza, anche se non frequente, deve essere tenuta in considerazione per la gravità della prognosi.
    Tutti i farmaci antiretrovirali possono dare ipersensibilità, ma questa è più frequentemente associata al trattamento con efavirenz (5-10%) e nevirapina (17-24%), abacavir (3-5%) e tra gli IP nelfinavir e amprenavir (20%). Dermatite esfoliative gravi sono state descritte con nevirapina (4-8%) e amprenavir.
    L’ipersensibilità ad abacavir si manifesta con febbre spesso, ma non sempre, associata a rash; è stata segnalata la possibile comparsa di sintomi addominali quali nausea, vomito e dolori di tipo colico, di astenia marcata e linfoadenopatia. Possono comparire inoltre sintomi correlabili a infezione dell’apparato respiratorio, quali tosse e modesta dispnea. Tali manifestazioni si presentano nelle prime 8 settimane di terapia. La diagnosi di ipersensibilità ad abacavir è importante perchè in questo caso il farmaco non deve più essere utilizzato in quanto si sono verificate reazioni mortali alla riesposizione.
    Non è nota la patogenesi delle reazioni di ipersensibilità ad antiretrovirali, anche se verosimilmente non si tratta di reazione allergiche IgE-mediate. La diagnosi è essenzialmente clinica.
    Nella maggior parte dei casi la reazione si risolve spontaneamente e la necessità di sospensione del farmaco deve essere valutata caso per caso, in base alla gravità della sintomatologia e alla storia del paziente. Il trattamento va comunque sempre sospeso quando l’esantema è esteso e si accompagna a febbre e quando sono coinvolte le mucose. La riesposizione al farmaco non deve mai essere effettuata con abacavir e in caso di reazioni gravi quali importanti esantemi con successiva desquamazione e quadri con coinvolgimento mucoso.
    Il trattamento delle reazioni di ipersensibilità si avvale di antistaminici e steroidi.

    Stomaco e intestino
    Reazioni avverse a carico dell’apparato gastroenterico si presentano spesso nei pazienti in terapia con HAART; si tratta in genere di sintomi che insorgono nei primi giorni di trattamento, spesso regrediscono o si attenuano nelle settimane successive, difficilmente sono responsabili di sospensione. In genere vengono trattate con beneficio con terapia sintomatica.
    Nausea e Vomito
    La nausea rappresenta un evento avverso molto frequente ; praticamente tutti i farmaci utilizzati per la terapia possono causarla. Tra gli NRTI è più comune con didanosina e zidovudina mentre può comparire come conseguenza del trattamento con tutti gli IP. Più rara la comparsa di vomito che causa però più spesso la sospensione del trattamento.
    In questi anni le formulazioni per alcuni farmaci sono notevolmente migliorate, passando da sciroppo o compresse masticabili a capsule; infine per molti preparati non è più obbligatoria l’assunzione in particolari condizioni (per alcuni dopo pasti grassi, per altri a digiuno). Questo ha ridotto l’incidenza di effetti collaterali gastrici e ha migliorato l’aderenza alla terapia.
    La terapia di questi eventi avversi è comunque sintomatica; da evitare l’utilizzo di farmaci che possano interagire con la terapia di base o renderne difficoltoso l’assorbimento (ad es. è da proscrivere l’uso di antiacidi in pazienti in trattamento con indinavir).
    Diarrea
    Anche la diarrea è frequentemente associata al trattamento antiretrovirale. I farmaci più spesso responsabili di tale sintomo sono didanosina, nelfinavir, amprenavir e ritonavir.
    Compare in genere nei primi giorni di terapia e in alcuni casi regredisce dopo alcune settimane. Se la diarrea è moderata ( sino a 3-4 scariche al giorno) può essere utile terapia sintomatica con loperamide e modificazioni della dieta.
    Nella diarrea conseguente ad assunzione di nelfinavir si è dimostrato utile il trattamento con calcio 500 mg due volte al giorno.
    Fegato
    La presenza di tossicità epatica viene definita dall'aumento di 3-5 volte rispetto la norma delle transaminasi (ALT e AST), con o senza segni clinici di epatite. Molti antiretrovirali sono stati associati alla comparsa di alterazioni epatiche, spesso asintomatiche, e che a volte si risolvono spontaneamente anche senza la necessità di sospendere la terapia. Altre volte però può manifestarsi una vera e propria epatite tossica.
    · Gli NRTI possono causare alterazione della funzionalità epatica già nelle prime settimane di terapia, ma anche dopo più di 6 mesi dall’inizio del trattamento.
    · Gli NNRTI sono responsabili di tossicità epatica che insorge più frequentemente entro il terzo mese di terapia; il farmaco maggiormente implicato è la Nevirapina per cui sono stati descritti anche casi di epatite fulminante.
    · Tutti gli IP sono implicati nella comparsa di danno epatico, ma in vari studi il farmaco maggiormente correlato all’insorgenza di questo evento è stato il Ritonavir.
    Da queste osservazione si deduce che il monitoraggio della funzionalità epatica deve essere sempre previsto nell’ambito dei controlli che il paziente in trattamento esegue periodicamente. In letteratura è stato ripetutamente segnalato che i pazienti con coinfezione da HCV e HBV sono più suscettibili alla comparsa di tossicità epatica.
    La comparsa di tossicità epatica è attualmente uno dei maggiori problemi perchè frequentemente impone la sospensione della terapia; il fatto che molti pazienti presentino, per motivi epidemiologici, coinfezione con virus epatitici rende ancora più problematica la situazione.
    Non esistono precise controindicazioni alla terapia in pazienti che presentano gravi forme di epatite cronica o di sospensione della stessa in relazione al grado del danno epatico. In un paziente epatopatico non dovrebbero essere utilizzati, se non indispensabile, farmaci noti per la loro più rilevante epatotossicità. Deve essere valutata (si impone la sospensione?) la necessità di sospensione del trattamento quando le transaminasi raggiungono un valore pari o superiore a 10 volte il valore normale (tossicità di grado IV secondo le scale di gravità utilizzate negli studi internazionali).
    Aumento della bilirubina indiretta (> 2,5 mg/dl) compare in terapia con Indinavir in circa il 7% dei casi, ma non è espressione di tossicità epatica. Occasionalmente può essere riscontrato modesto incremento delle sole gammaGT.

    Apparato muscolo-scheletrico
    Disturbi muscolari
    In conseguenza al trattamento con quasi tutti i farmaci antiretrovirali è descritta la comparsa di mialgie diffuse. Possono presentarsi nelle prime settimane di trattamento oppure più tardivamente. Poichè potrebbero essere espressione di incremento dell’acido lattico è utile qualora i sintomi siano importanti e accompagnati da astenia, eseguire un controllo della lattacidemia.
    Alterazioni ossee
    Più recentemente è stata segnalata l’insorgenza di osteopenia e osteoporosi forse da porre maggiormente in relazione all’utilizzo di IP; spesso si accompagna a quadri di lipodistrofia ed a elevati livelli di acido lattico.
    Una patologia grave e invalidante che può coinvolgere l’apparato scheletrico è l’osteonecrosi. Sono stati descritti casi di osteonecrosi della testa del femore e più raramente dell’omero, spesso bilaterali, in pazienti in terapia HAART. Si tratta di quadri molti gravi che comportano un elevato livello di invalidità, descritti nei pazienti con infezione da HIV anche prima dell’utilizzo di trattamenti aggressivi, ma la cui segnalazione è indubbiamente aumentata negli ultimi anni. Non sembrano correlabili ad una particolare classe di farmaci. L’osteonecrosi si manifesta inizialmente con dolore al capo articolare interessato e successivamente con impotenza funzionale anche grave. Non esistono terapie specifiche, ed a volte può essere necessario l'intervento chirurgico.
    In un ampio studio osservazionale è stata valutata la densitometria ossea in alcuni gruppi di persone: HIV-negativi, HIV-positivi in terapia con IP ed HIV-positivi non in terapia con IP (1). E' stato osservato che in generale i pazienti in terapia con IP avevano dei livelli maggiori di riduzione del tono calcico delle ossa. Questo riscontro non è risultato correlato alla eventuale presenza di altre complicanze quali la lipodistrofia, suggerendo quindi la presenza di meccanismi diversi nella origine di questi quadri clinici.
    Come nel caso della lipodistrofia, manca ancora un precisa definizione di queste sindromi, ed una loro ben precisa correlazione con le terapie antiretrovirali.
    Apparato urinario
    Effetti avversi a carico del rene sono segnalati quasi esclusivamente in pazienti in trattamento con indinavir.
    Nefrolitiasi con o senza ematuria si manifesta in questi soggetti, con una frequenza pari al 3-15%. I calcoli sono costituiti da cristalli di indinavir con o senza calcio. In genere tale evento non si accompagna a disfunzione renale e si risolve con apporto idrico e interruzione temporanea della terapia.
    Per prevenire tale complicanza è raccomandata l’assunzione di almeno 2 litri di liquidi al giorno.
    Sono stati inoltre segnalati rari casi di nefrite interstiziale e insufficienza renale.
    Pancreatite
    Casi di pancreatite, anche fatali, erano stati osservati già durante le fasi di sperimentazione di alcuni nRTI, come didanosina (ddI) e zalcitabina (ddC). Fattori favorenti l'insorgenza della acidosi lattica sono:
    - abuso alcolico
    - sovrappeso
    - ipertrigliceridemia
    - calcolosi della cistifellea.
    In seguito altri casi fatali di pancreatite sono stati descritti in altri studi clinici: 2/68 pazienti dello studio ACTG 5025 (ddI, d4T, Indinavir e Idrossiurea), ed 1 paziente dello studio START II, che assumeva ddI, d4T e Indinavir. Tutti questi pazienti avevano più di 500 CD4 ed una viremia negativa.
    Il meccanismo con il quale si instaura un processo pancreatitico non è ancora chiarito; anche in questo caso è stato ipotizzato un danno a livello mitocondriale (1).

    Sistema Nervoso
    Sistema Nervoso Centrale
    Di frequente riscontro in pazienti trattati con HAART sono sintomi quali cefalea, vertigini e insonnia. Si tratta in genere di disturbi non fortemente invalidanti e temporanei.
    Più importanti sono invece i sintomi neurologici associati alla terapia con efavirenz; in particolare vertigini, cefalea, difficoltà alla concentrazione, ansia, insonnia o sonni disturbati da incubi sino a comparsa, in un ridotto numero di casi, di disturbi di tipo psicotico. L’entità dei sintomi è dose-dipendente e questi compaiono ad ogni assunzione del farmaco; in genere presentano un intensità decrescente nel tempo e si risolvono spontaneamente in alcune settimane di terapia. Qualche volta però, è necessario sospendere il trattamento.
    E’ utile che il paziente sia informato della possibilità che questi disturbi si presentino. Tali eventi controindicano la terapia con efarivenz in pazienti ansiosi, depressi e che presentano problemi di compliance.
    Sistema Nervoso Periferico
    La neuropatia periferica può insorgere in seguito a trattamento con NRTI; questo evento avverso è sicuramente correlabile all’assunzione di farmaci appartenenti a questa categoria perchè è stato riportato quando questi erano assunti in monoterapia. In particolare la neuropatia può comparire con didanosina, zalcitabina e stavudina; più rara come conseguenza del trattamento con gli altri NRTI.
    Le caratteristiche cliniche sono sovrapponibili alla neuropatia HIV correlata, ma se l’origine è iatrogena ha un esordio e una progressione più rapida; è dose-correlata. Sono stati identificati quali fattori di rischio una storia precedente di neuropatia, grave immunodeficienza, trattamento concomitante con altri farmaci neurotossici quali chemioterapici, dapsone, isoniazide e la presenza di altre patologie sistemiche come diabete e alcoolismo.
    Regredisce alla sospensione del trattamento in un periodo di tempo variabile fra 1 e 9 settimane; più raramente, se è da farmaci, permane dopo due mesi.
    La terapia è sintomatica e prevede l’uso di fans per le forme lievi. Quando la sintomatologia dolorosa è più accentuata si può trattare con amitriptilina, gabapentin o lamotrigina.
    Sindrome lipodistrofica
    Si tratta di un insieme di alterazioni che coinvolgono la distribuzione del tessuto adiposo, il metabolismo lipidico e glicidico.
    Tali patologie compaiono dopo un periodo di terapia di alcune settimane, a volte di alcuni mesi. Tutte sono state riportate per la prima volta dopo la commercializzazione degli IP e questo ha portato inizialmente ad una associazione causa-effetto con questo gruppo di farmaci. Successivamente le stesse alterazioni sono state segnalate anche in pazienti che eseguivano trattamenti con NRTI e/o con NNRTI.
    Attualmente non si è giunti ad una definizione patogenetica di questi quadri; l’ipotesi più accreditata è che la loro comparsa non sia legata all’utilizzo di un solo farmaco ma all’associazione fra essi e al potenziamento reciproco dell’attività terapeutica.
    Questa sindrome comprende manifestazioni cliniche differenti, correlabili principalmente a due diversi aspetti, che possono essere presenti contemporaneamente oppure separatamente: una alterazione di alcune funzioni metaboliche ed una alterazione nella distribuzione del grasso corporeo. In particolare quest'ultimo aspetto è caratterizzato da una insolita variazione dell'aspetto fisico, con la comparsa di un accumulo di grasso in alcuni distretti corporei ed una riduzione di volume di altre zone del corpo. Il termine lipodistrofia infatti letteralmente significa: alterazione della normale crescita (distrofia) del tessuto adiposo (lipo).
    Queste possibili alterazioni sono riassunte nella seguente Tabella:
    Alterazioni metaboliche
    · Alterazioni del metabolismo glucidico:-
    iperglicemia, con possibile sviluppo di diabete-
    insulino-resistenza (iperglicemia ed elevati livelli di insulina)-
    intolleranza glucidica
    Alterazioni del metabolismo lipidico:-
    ipertrigliceridemia-
    ipercolesterolemia-
    aumento del colesterolo LDL (maggiormente associato al rischio cardio-vascolare)
    Anomala distribuzione del grasso corporeo
    Accumulo di grasso sottocutaneo:-
    alla base della nuca (buffalo hump) (Fotografia 1)-
    alle mammelle-
    presenza di lipomi (piccoli noduli di grasso, che possono essere presenti ovunque)-
    all'addome (protease paunch) (in questo caso si tratta del grasso viscerale, mentre il grasso sottocutaneo è anch'esso ridotto, come dimostrato da vari studi eseguiti mediante l'impiego della TAC).
    Perdita di grasso:-
    assottigliamento degli arti (soprattutto inferiori) con prominenza delle vene sottocutanee-
    restringimento dei fianchi e delle cosce-
    assottigliamento del volto (guance) con aumento delle rughe
    La lipodistrofia è stata descritta sia negli uomini che nelle donne, con percentuali variabili a secondo delle manifestazioni cliniche: nelle donne sembra essere più frequente l'accumulo di grasso, mentre negli uomini sembra più frequente la perdita di tessuto adiposo. Anche la presenza delle alterazioni metaboliche può variare a seconda del sesso, essendo più frequenti negli uomini. Uno studio effettuato su 208 pazienti con lipodistrofia ha confermato queste osservazioni (1):
    Uomini Donne
    % di pazienti con accumulo di grasso
    Addome 70 98
    Seno 31 74
    Buffalo hump 20 10
    % di pazienti con deplezione di grasso
    Arti 68 53
    Natiche 60 45
    Volto 57 22
    % di pazienti con alterazioni metaboliche
    Ipertrigliceridemia 63 26
    Ipercolesterolemia 50 26
    Iperglicemia 14 0
    Nell’ambito del 1° Workshop Europeo sul tema della lipodistrofia tenutosi nel 2000 a Marrakech si è cercato di delineare una classificazione unitaria che servisse da riferimento per definire l’evento lipodistrofia in tutte le sue variabili:
    Alterazioni Morfologiche:
    Tipo 1: perdita di tessuto adiposo (Lipoatrofia)
    - 1 a : senza perdita del grasso facciale (bolla di Bichat)
    - 1 b : con perdita del grasso facciale
    Tipo 2: accumulo di tessuto adiposo
    - 2 c : in una sola parte del corpo
    - 2 d : in due o più parti del corpo
    - 2 e : lipomatosi
    Tipo 3: Quadri misti 1 + 2
    - a/b + c/d/e
    Tipo 4: Alterazioni metaboliche isolate
    Alterazioni Metaboliche:
    Grado Colesterol Trigliceridi Glucosio
    0 (normale) < 200 mg/dl < 200 mg/dl < 110 mg/dl
    1 (lieve) 200 - 239 200 - 399 110 - 125
    2 (moderato) 240 - 300 400 - 1.000 110 - 125
    3 (severo) > 300 > 1.000 > 125
    Persone con una più elevata quantità di grasso corporeo basale hanno una maggiore tendenza a sviluppare un anomalo accumulo di grasso, mentre al contrario persone con scarso grasso corporeo tendono maggiormente ad una ulteriore deplezione. Il rischio di sviluppare una lipodistrofia sembra inoltre maggiore nelle persone di età più avanzata, e nei pazienti che hanno l'infezione e che sono in terapia antiretrovirale da più tempo. Ancora, varie segnalazioni evidenziano che la lipodistrofia sembra essere più frequente nelle persone di razza caucasica.
    La comparsa di lipodistrofia è stata variamente correlata all'impiego di tutte le classi di farmaci antiretrovirali; gli inibitori della proteasi sembrano essere più frequentemente responsabili delle alterazioni metaboliche e degli accumuli di grasso sottocutaneo e viscerale, mentre gli NRTI sembrano invece maggiormente responsabili della lipoatrofia. Sicuramente però la lipodistrofia sembra avere una genesi multifattoriale, con vari altri fattori (genetici, ormonali, metabolici, immunitari) che intervengono nell'origine di questa sindrome.
    L'incidenza della sindrome in vari studi di coorte eseguiti nel periodo 1999 - 2001 varia dal 36 al 51%; vi è una stretta relazione tra la comparsa della lipodistrofia ed il tempo di esposizione ai farmaci antiretrovirali.
    Le percentuali variano di molto, anche perchè non c'è ancora una definizione standardizzata di questa sindrome, e quindi l'interpretazione dei sintomi da parte dei vari Autori può essere diversa.
    Eziologia della Lipodistrofia
    Attualmente vi è unanime consenso sul fatto che la lipodistrofia sia una sindrome caratterizzata sia da alterazioni metaboliche che da alterazioni della distribuzione del grasso corporeo. Tuttavia non è confermato che questi due diversi aspetti siano effettivamente componenti di una unica sindrome clinica; infatti potrebbero forse rappresentare due sindromi separate che spesso coesistono. Dati recenti a favore di questa seconda ipotesi sono costituiti da studi nei quali l'iperlipidemia è stata osservata in pazienti in terapia con IP sia con lipodistrofia che senza. La causa di queste alterazioni non è ancora certa. Potrebbero essere responsabili effetti diretti e indiretti dei farmaci antiretrovirale, ma anche altri fattori indipendenti dalla terapia.
    La prima ipotesi è focalizzata prevalentemente sull'impiego degli inibitori delle proteasi, dato che le prime osservazioni sulla lipodistrofia hanno coinciso con l'introduzione di questi farmaci (2). Tuttavia gli studi sono discordanti, e vi è attualmente un crescente numero di osservazioni che documentano la presenza di alterazioni della distribuzione del grasso corporeo anche in assenza di terapia con IP. In particolare casi di lipodistrofia sono stati correlati anche con l'impiego di nRTI, soprattutto della Stavudina.
    Più probante sembra essere l'ipotesi che riguarda la possibile correlazione della lipodistrofia con la tossicità mitocondriale, a sua volta secondaria alla inibizione della DNA polimerasi mitocondriale provocata dagli analoghi nucleosidici (nRTI) (3). Non vi sono comunque attualmente dati certi che possano confermare questa ipotesi.
    Oltre alla tossicità da farmaci, possono essere ipotizzate anche altre cause quali responsabili della lipodistrofia. Queste includono alterazioni endocrine, alterazioni nella durata vitale e nella differenziazione degli adipociti (le cellule deputate all'accumulo di grasso), a reazioni autoimmuni, ad alterazioni nella attività di alcune citochine o ad alterazioni ormonali. Non c'è comunque alcun supporto a favore di una tesi piuttosto che dell'altra, anche perchè sono ancora pochi gli studi effettuati su questo argomento.
    Gestione delle alterazione del metabolismo lipidico
    I provvedimenti da adottare in pazienti con alterazioni del metabolismo lipidico sono simili a quelli consigliati nel soggetto che non presenta immunodeficienza. In primo luogo è utile valutare alcune caratteristiche dello stile di vita. In particolare si consiglierà:
    - dieta a basso contenuto di grassi e di zuccheri
    - abolizione degli alcolici
    - controllo dei fattori di rischio cardiovascolare quali fumo, ipertensione e vita sedentaria
    Bisogna comunque considerare che l’intervento sulla dieta e sullo stile di vita comporta una riduzione dell’11% dei livelli di colesterolo e del 21% dei livelli di trigliceridi.
    Il trattamento farmacologico può essere adottato con i seguenti farmaci:
    Fibrati (es. gemfibrozil, fenofibrato):
    · Terapia di prima linea
    · Non sempre si ottiene la normalizzazione dei trigliceridi
    · Possibile interazione con le statine
    Inibitori del HMG Coa reduttasi (statine) (es. simvastatina, lovastatina, atorvastatina, cerivastatina):
    · Gli IP aumentano i livelli plasmatici delle statine
    · Effetti collaterali gravi: rabdomiolisi, epatotossicità
    · Riduzione del dosaggio in pazienti con insufficienza renale
    Va considerato che le statine devono essere utilizzate con particolare attenzione perché alcune di queste molecole interagiscono con i farmaci antiretrovirali che ne aumentano le concentrazioni plasmatiche incrementando il rischio di epatotossicità e miopatia.
    Ormone della crescita:
    Questa terapia è stata utilizzata in diversi studi clinici in pazienti con sindrome lipodistrofica; è stata dimostrata una buona efficacia nel ridurre gli accumuli di tessuto adiposo, anche se spesso l'effetto è stato solo transitorio durante il periodo di trattamento. Inoltre sono necessari studi ulteriori, sia per determinare la dose ed il tempo di trattamento ideali, sia per stabilire con certezza i possibili effetti secondari di questa terapia ormonale.
    Chirurgia plastica:
    Questo approccio è stato tentato per risolvere problemi legati alla lipoatrofia del volto, con severa riduzione della bolla di Bichat (vedi Fotografia 3), oppure per la rimozione di accumuli adiposi, come per esempio nel caso del Buffalo Hump (vedi Fotografia 1).
    Nel primo caso sono state impiegate tecniche di impianto di acido polilattico mediante iniezioni intradermiche, per stimolare la produzione di nuovo collagene; nel secondo caso invece è stata utilizzata la liposuzione per asportare il tessuto adiposo in eccesso.
    Sono stati riportati buoni risultati, anche se non è ancora ben nota la loro pesistenza nel tempo.
    Reversibilità della Lipodistrofia
    Sono in corso vari studi sulla reversibilità dei vari aspetti della lipodistrofia dopo sospensione o variazione della terapia antiretrovirale. La maggior parte di questi studi riguardano la sostituzione di un IP con un farmaco di un'altra classe; uno studio condotto per oltre un anno riguardava la sostituzione dell'IP in atto con la Nevirapina (4, 5): le alterazioni metaboliche sono regredite entro 3 mesi, mentre le alterazioni della distribuzione del grasso corporeo hanno iniziato a modificarsi solo dopo un anno dal cambio di terapia. I risultati preliminari di un altro studio nel quale veniva sostituita la Stavudina indicano che le alterazioni corporee possano effettivamente regredire (6).
    Sono stati valutati anche altri possibili rimedi, come la dieta e l'esercizio fisico (7), oppure l'impiego di farmaci per la terapia dell'ipertrigliceridemia, come le statine o il clofibrato (8). Sono stati riportati risultati positivi, ma i dati sono ancora insufficienti per poter fornire delle precise raccomandazioni; le statine inoltre hanno il problema delle interazioni con gli IP e gli NNRTI.
    Acidosi lattica
    La acidosi lattica è una complicanza rara ma potenzialmente fatale associata alla terapia con analoghi nucleosidici (nRTI). E' stata osservata già da molti anni, ed era stata inizialmente correlata alla terapia con Zidovudina (AZT). Si pensa che questa sindrome sia secondaria alla inibizione da parte degli nRTI della replicazione del DNA mitocondriale, cui conseguirebbero l'acidosi lattica ed un grave danno epatico. Il meccanismo sarebbe pertanto simile a quello ipotizzato per spiegare l'origine anche di altri eventi avversi, come la lipodistrofia, la neuropatia periferica, la pancreatite, la miopatia e la cardiomiopatia.
    Fattori favorenti l'insorgenza della acidosi lattica sono:
    - sesso femminile
    - sovrappeso
    - presenza di epatopatia
    - pregressa pancreatite
    - terapia con 3 nRTI.
    Quadri clinici:
    Si possono distinguere tre diverse situazioni cliniche:
    Iperlattatemia asintomatica:
    - frequente, osservata anche nel 20% dei pazienti in terapia con almeno un nRTI;
    - i valori di lattato sono solo moderatamente alterati (2-5 mmol/l)
    - solitamente transitoria, a volte persistente ma non progressiva;
    - non c'è acidosi e non si nessuna sintomatologia clinica;
    - l'aumento di produzione del lattato viene compensato da un efficace meccanismo di smaltimento, e l'omeostasi del lattato dopo esercizio fisico rimane conservata;
    - la TARV può proseguire invariata.
    Iperlattatemia sintomatica: - poco frequente;
    - valori di lattato solitamente compresi tra 5 e 10 mmol/l;
    - non c'è acidosi, ma spesso è concomitante un interessamento epatico, con presenza di steatosi;
    - non è predittiva di sviluppo di acidosi lattica grave;
    - generalmente reversibile modificando la TARV.
    Acidosi lattica:
    - rara, ma potenzialmente fatale;
    - si sviluppa un completo scompenso della omeostasi del lattato, con evoluzione rapidamente progressiva verso una grave acidosi metabolica;
    - l'interessamento epatico è costante;
    Sintomatologia:- esordio acuto o subacuto (a volte anche alcune settimane);
    - sintomi gastrointestinali spesso aspecifici, come nausea, vomito, diarrea e dolori addominali;
    - crampi, dolori e debolezza muscolare, parestesie (alterazioni della sensibilità);
    - più tardivamente: polipnea e tachipnea (respiro rapido e profondo), alterazioni del ritmo cardiaco.
    Esami di laboratorio:- incremento dell'acido lattico (> 10 mmol/l)
    - acidosi severa (bicarbonato < 20 mmol/l e pH arterioso < 7,3)
    - aumento di transaminasi, CPK, LDH, lipasi e amilasi
    - alterazioni della coagulazione e insufficienza renale.
    Sono stati descritti casi con evoluzione fatale (1). Uno studio della Swiss HIV Cohort Study ha descritto 1.598 pazienti nei quali si è evidenziata la presenza di un aumento dell'acido lattico nel sangue nel 10,8% dei pazienti durante un periodo di osservazione di un mese. Questo incremento era comunque di lieve entità nella maggior parte dei casi, e solo in 14 pazienti (0,9%) era risultato più del doppio rispetto al valore normale. Il ddI ed il d4T erano significativamente associati ad un rischio maggiore di aumento dell'acido lattico (2). Sulla base di queste osservazioni e di altri studi analoghi, c'è attualmente la convinzione che in corso di terapia con nRTI sia abbastanza frequente il riscontro di valori alterati di acido lattico, con o senza acidosi (3).
    Un altro studio ha descritto 20 pazienti che avevano manifestato dolore addominale, nausea e aumento dell'acido lattico; tutti stavano assumendo d4T. Dopo sospensione del farmaco i sintomi sono regrediti in tutti i 20 pazienti (4).
    In ogni caso sospetto di acidosi lattica la terapia con nRTI va immediatamente sospesa. Sono stati descritti benefici con terapia a base di Riboflavina (5).
    Sono poi stati descritti anche 3 casi ad evoluzione fatale, avvenuti in donne gravide che erano in terapia con Stavudina e Didanosina, in associazione ad altri farmaci antiretrovirali (6).
    Iperglicemia
    In pazienti trattati con farmaci antiretrovirali è stata descritta la comparsa di iperglicemia, di chetoacidosi diabetica, di diabete mellito, oppure il peggioramento di un diabete preesistente. Questi eventi avversi sono particolarmente correlati con l'impiego degli inibitori della proteasi (IP), sebbene siano stati descritti anche in assenza di questa classe di farmaci (1, 2).
    L'incidenza di nuova comparsa di iperglicemia in una coorte di 221 pazienti trattati con HAART è stata del 5% in 5 anni di follow up; non è stata notata alcuna differente correlazione tra i vari tipi di IP utilizzati (3).
    Il meccanismo con cui si instaura l'iperglicemia non è stato ancora chiaramente identificato. i ritiene tuttavia che questa aletrazione possa derivare da una resistenza periferica ed epatica all'insulina, da una relativa carenza di insulina e da una ridotta capacità da parte del fegato di utilizzare l'insulina (4).
    La comparsa di iperglicemia, con o senza diabete, è stata decritta nel 3-17% dei pazienti partecipanti a vari studi clinici. I sintomi insorgono mediamente dopo 2 mesi dall'inizio della terapia, ed a volte si sono risolti spontaneamente dopo la sospensione dell'IP. In alcuni casi il farmaco è stato proseguito, iniziando una terapia specifica per il diabete con l'insulina o con ipoglicemizzanti orali.
    Per questi motivi è importante che il paziente venga avvisato di prestare attenzione ai sintomi della eventuale comparsa di una alterazione glicemica, quali in particolare un incremento della sete e della diuresi. E' altrettanto importante eseguire un periodico monitoraggio dei valori glicemici.
    Rischio Cardio-vascolare
    Molte delle alterazioni che caratterizzano la sindrome lipodistrofica (in particolare dislipidemia, diabete e obesità viscerale) sono riconosciute nella popolazione generale come fattori di rischio per patologie cardiovascolari. Anche se studi osservazionali a medio termine non hanno finora evidenziato un aumentato rischio cardiovascolare nella popolazione HIV-positiva in trattamento antiretrovirale, segnalazioni anedottiche sempre più frequenti di infarto miocardico e patologie coronariche in pazienti in trattamento con IP rappresentano un motivo di preoccupazione.
    E’ pertanto opportuno che il follow-up clinico dei pazienti in trattamento antiretrovirale, soprattutto dei maschi di età superiore ai 40 anni e con familiarità per patologie cardiovascolari, sia mirato anche al controllo dei principali fattori di rischio, quali fumo, vita sedentaria, ipertensione arteriosa e alterazioni del metabolismo lipidico e glucidico. I pazienti ad elevato rischio potrebbero beneficiare in prima linea di regimi PI-sparing, cioè senza gli inibitori della proteasi, in modo da prevenire o limitare le alterazioni metaboliche.
    Come per la popolazione generale, anche per il paziente HIV positivo è quindi importante intervenire sui fattori di rischio cardiovascolari mediante dieta, esercizio fisico e, quando necessario, farmaci per ridurre i valori di trigliceridi o colesterolo.
  3. .
    Questa sezione tiene conto delle ultime
    Linee Guida di Terapia Antiretrovirale,
    pubblicate nell'Aprile 2005,
    nonché dei dati riportati dalla letteratura
    e di quelli presentati negli ultimi
    Congressi Nazionali ed Internazionali.



    Gli Inibitori Nucleosidici della Transcriptasi Inversa (nRTI)

    I farmaci appartenenti a questa classe sono stati i primi ad essere utilizzati nella terapia dell'infezione da HIV; il capostipite di questi infatti, la Zidovudina (AZT), è stata utilizzata fin dal 1987. I risultati che si ottenevano erano però solo transitori, e questo era dovuto al fatto che il suo impiego in monoterapia provocava rapidamente l'insorgenza di resistenze.
    questi farmaci sono in grado di inibire il processo di replicazione del virus mediante il blocco della trascrizione dell'RNA virale in DNA provirale (vedi Il Virus - Il ciclo replicativo); agiscono sostituendosi alle basi azotate durante la trascrizione, in modo che il DNA provirale neoformato sia incompleto e quindi incapace di originare nuove particelle virali

    Gli Inibitori Nucleotidici della Transcriptasi Inversa

    Questi farmaci agiscono nello stesso modo degli analoghi nucleosidici ma, a differenza di questi, richiedono una più semplice metabolizzazione intracellulare per poter agire (la forma attiva è quella di difosfato).
    Dall'inizio del 2003 è disponibile in Italia il primo di questa classe di farmaci, il Tenofovir.

    Retrovir GlaxoWellcome
    Nome farmacologico Zidovudina (AZT) Foglietto illustrativo (in inglese)
    Prima Registrazione FDA: Marzo 1987SSN: Luglio 1987 - Fascia A
    Formulazioni Capsule 100; Compresse 300 mg; Sciroppo 10 mg/ml; Fiale e.v.10 mg/ml.
    Posologia giornalieranell'adulto + mg 300 x 2
    Modalità di assunzione Una compressa ogni 12 ore, indipendentemente dai pasti.
    Meccanismo d'azione La Zidovudina viene fosforilata ad AZT-monofosfato da una timidina-chinasi cellulare, sia nelle cellule infette che in quelle non infettate. In seguito altre chinasi cellulari aspecifiche intervengono nella trasformazione successiva fino alla forma attiva di AZT-trifosfato. Questa molecola agisce come substrato per l'azione della transcriptasi inversa virale: la formazione di ulteriore DNA provirale viene bloccata dalla incorporazione dell'AZT-trifosfato nella catena, con conseguente interruzione della catena stessa.L'affinità dell'AZT-trifosfato per la transcriptasi inversa virale è di circa 100 volte maggiore che per la DNA-polimerasi cellulare.
    Proprietà farmacocinetiche L'AZT viene ben assorbito nell'intestino, con una biodisponibilità del 60%.Emivita serica: 1,1 ora;Emivita intracellulare: 3 ore.La eliminazione del farmaco avviene prevalentemente per via renale.L'AZT diffonde nel liquido cerebrospinale, con un rapporto di circa 0,5 rispetto alla concentrazione ematica.
    Effetti collaterali Effetti ematologici: si possono osservare anemia e neutropenia, solitamente dopo alcune settimane di trattamento. Tali effetti sono più frequenti in caso di malattia avanzata.Tossicità epatica: durante la terapia è necessario controllare periodicamente i valori di transaminasi (AST e ALT), in quanto il farmaco può provocare danno epatico.Effetti gastroenterici: si possono osservare nausea, vomito, dolori addominali, calo dell'appetito, dispepsia.Altro: Cefalea, astenia, insonnia, esantema. Sono stati descritti casi di sofferenza muscolare acuta (miosite). Casi di acidosi lattica ed epatomegalia severa con steatosi anche fatale sono stati riportati con l'impiego di tutti gli analoghi nucleosidici, da soli o in combinazione fra loro (vedi pagine sugli Eventi avversi dei farmaci ARV).
    Interazioni Vanno usati con cautela farmaci mielotossici ed epatotossici, quali Cotrimoxazolo, Pirimetamina, Dapsone, Ganciclovir, Interferone, antiblastici.L'AZT non va mai associata allo Zerit, in quanto è stato dimostrato un effetto di antagonismo tra questi due farmaci (studi ACTG 290 e ACTG 298).
    Dosi nella insufficienzarenale La dose somministrata deve essere ridotta:Clearance creatinina 10-50 mL/min: mg 100-200 x 3;Clearance creatinina < 10 mL/min: mg 100 x 2-3
    Resistenze Vedi la Pagina delle Mutazioni.
    Note La Zidovudina ha dimostrato di ridurre il tasso di trasmissione materno-fetale dell'HIV quando somministrato a donne sieropositive gravide (dopo la 14a


    Videx Bristol-Myers Squibb
    Nome farmacologico Didanosina (ddI) Foglietto illustrativo (in inglese)
    Prima Registrazione FDA: 10/91SSN: 12/92 - Fascia AVidex EC: Febbraio 2001 - Fascia H
    Formulazioni Compresse 25 - 50 - 100 - 150 mg (attualmente non più utilizzata)
    Nuova formulazione Videx EC (Enteric-Coated): nuova formulazione del Videx in capsule da 400 - 250 - 200 - 125 mg, caratterizzata dal fatto di essere una capsula "gastroresistente", priva del tampone che rende l'attuale pastiglia piuttosto "difficile" da assumere; in tal modo il farmaco risulta più "palatabile" e quindi meglio tollerato; non c'è infatti la necessità di sciogliere il farmaco nell'acqua o di masticarlo, come avviene per l'attuale compressa. Inoltre questa formulazione ha l'indicazione alla monosomministrazione giornaliera.Il Videx EC va sempre assunto a digiuno, preferibilmente la sera prima di andare a dormire.E' disponibile in Italia dal 12 febbraio 2001.
    Posologia giornaliera nell'adulto + oppure < 60 kg: mg 150 x 2 (oppure mg 300 in monodose)> 60 kg: mg 200 x 2 (oppure mg 400 in monodose) Videx EC: < 60 kg: mg 250 in monodose> 60 kg: mg 400 in monodose
    Modalità di assunzione Può essere somministrato ogni 12 ore ma anche in monodose. Va assunto a digiuno (mezz'ora prima o 2 ore dopo i pasti) in quanto il cibo riduce del 55% l'assorbimento del ddI. Le compresse vanno masticate o sciolte in acqua.Va assunto a distanza di almeno un'ora dagli inibitori della proteasi e dalla Delavirdina.Videx EC: va assunto sempre a digiuno, ma non è necessario distanziarlo di un'ora dagli inibitori della proteasi.
    Meccanismo d'azione La Didanosina viene fosforilata a ddI-trifosfato da chinasi cellulari; la molecola attiva blocca la sintesi del DNA provirale.
    Proprietà farmacocinetiche La Didanosina viene inattivata dall'acidità gastrica, per cui le compresse sono rivestite da una sostanza tampone che serve ad aumentare il pH gastrico.Biodisponibilità dopo somministrazione orale: 30-40%.Emivita serica: 1,6 ore;Emivita intracellulare: 25-40 ore.Eliminazione: 50% renale.
    Effetti collaterali Tossicità pancreatica: in vari studi clinici è stata riportata l'incidenza di pancreatite in circa il 7% dei casi; l'abuso di alcolici aumenta il rischio di tossicità pancreatica. Sono stati recentemente segnalati alcuni casi di pancreatiti fatali, soprattutto in pazienti trattati con ddI in combinazione con d4T o d4T + idrossiurea.Neuropatia periferica: è stata riportata in circa il 15% dei casi; solitamente si risolve dopo alcune settimane dalla sospensione della terapia.Effetti gastroenterici: frequentemente si osserva diarrea; nausea.Altro: Stomatite. Segnalati rari casi di danno retinico solo in pazienti pediatrici (osservati casi di atrofia delle cellule epiteliali della retina). Casi di acidosi lattica ed epatomegalia severa con steatosi anche fatale sono stati riportati con l'impiego di tutti gli analoghi nucleosidici, da soli o in combinazione fra loro (vedi pagine sugli Eventi avversi dei farmaci ARV).Casi di acidosi lattica fatali sono stati riportati in donne gravide trattate con la combinazione Didanosina + Stavudina, associate ad altri farmaci antiretrovirali.- La combinazione Didanosina + Stavudina dovrebbe essere utilizzata in gravidanza sono nel caso in cui i potenziali benefici siano significativamente superiori ai possibili rischi.
    Interazioni Non va utilizzato in associazione alla Zalcitabina, poiché aumenta il rischio di tossicità pancreatica e di neuropatia periferica.Evitare la contemporanea assunzione di alcool.
    Dosi nella insufficienzarenale La dose somministrata deve essere ridotta:Clearance creatinina 10-50 mL/min: mg 125 x 2 oppure 150 in unica dose;Clearance creatinina < 10 mL/min: mg 100 in unica dose
    Resistenze Vedi la Pagina delle Mutazioni.

    Hivid Roche
    Nome farmacologico Zalcitabina (ddC)Foglietto Illustrativo
    Prima Registrazione FDA: 6/92SSN: 5/95 - Fascia A
    Formulazioni Compresse 0,75 mg
    Posologia giornalieranell'adulto + + cp. 1 x 3
    Modalità di assunzione Una compressa ogni 8 ore, indipendentemente dai pasti.
    Meccanismo d'azione La Zalcitabina viene fosforilata ad ddC-trifosfato da chinasi cellulari, sia nelle cellule infette che in quelle non infettate. Agisce sostituendosi alla deossicitidina endogena durante la trascrizione inversa del DNA provirale, bloccandone così la formazione.
    Proprietà farmacocinetiche Biodisponibilità dopo somministrazione orale: 85%.Emivita serica: 1,2 ora;Emivita intracellulare: 3 ore.Eliminazione: 70% renale.La diffusione nel liquido cerebrospinale è molto scarsa.
    Effetti collaterali Neuropatia periferica: è l'effetto collaterale principale, essendo stato riportato dal 12 al 45% dei casi in diversi studi clinici, per cui va impiegata con cautela in pazienti con preesistenti neuropatie. Tossicità pancreatica: sono stati riportati rari casi di pancreatite in corso di terapia con Zalcitabina.Altro: Stomatite, esantema, tossicità epatica, con rari casi di insufficienza epatica e morte sono stati riportati in pazienti con concomitante epatite B. Casi di acidosi lattica ed epatomegalia severa con steatosi anche fatale sono stati riportati con l'impiego di tutti gli analoghi nucleosidici, da soli o in combinazione fra loro (vedi pagine sugli Eventi avversi dei farmaci ARV).
    Interazioni Vanno usati con cautela farmaci nefrotossici (Ganciclovir, Foscavir, aminoglicosidi) e farmaci che provocano neuropatia periferica (Didanosina, Dapsone, Stavudina, Isoniazide).Non va associato alla Didanosina.
    Dosi nella insufficienza renale La dose somministrata deve essere ridotta:Clearance creatinina 10-50 mL/min: cp. 1 x 2 oppure 1 in unica dose;Clearance creatinina < 10 mL/min: cp. 1 in unica dose
    Resistenze Vedi la Pagina delle Mutazioni.

    Epivir GlaxoWellcome
    Nome farmacologico Lamivudina (3TC) Foglietto illustrativo (in inglese)
    Prima Registrazione FDA: Novembre 1995SSN: Ottobre 1996 - Fascia H
    Formulazioni Capsule 150 mg; Sciroppo 10 mg/mlDal marzo 2002 è disponibile la nuova formulazione di Epivir 300 mg, con l'indicazione alla assunzione in monodose giornaliera, approvata (giugno 2002) sia dall'EMEA che dall'FDA.
    Posologia giornalieranell'adulto + mg 150 x 2; oppure:mg 300 una sola volta al giorno.
    Modalità di assunzione Indipendentemente dai pasti.
    Meccanismo d'azione La Lamivudina viene metabolizzata all'interno delle cellule e convertita nella forma attiva di Lamivudina-trifosfato. Agisce interrompendo la formazione della catena di DNA provirale durante il processo di trascrizione inversa. L'azione inibitoria nei confronti dell'HIV è conservata anche verso ceppi resistenti alla Zidovudina. La Lamivudina agisce in modo sinergico alla Zidovudina quando i due farmaci vengono impiegati in associazione.
    Proprietà farmacocinetiche La Lamivudina viene ben assorbita nell'intestino, con una biodisponibilità dell'86%.Emivita serica: 5-7 ore;Emivita intracellulare: 18 ore.La eliminazione del farmaco avviene prevalentemente per via renale (circa il 70%). La diffusione nel liquido cerebrospinale è molto scarsa e priva di efficacia clinica.
    Effetti collaterali Solitamente questo farmaco è ben tollerato. Sono stati osservati rari casi di pancreatite e di neuropatia periferica.Altro: Cefalea, febbre, nausea, vomito, diarrea, astenia, dolori addominali, insonnia, esantema, dolori muscolari. Casi di acidosi lattica ed epatomegalia severa con steatosi anche fatale sono stati riportati con l'impiego di tutti gli analoghi nucleosidici, da soli o in combinazione fra loro (vedi pagine sugli Eventi avversi dei farmaci ARV).
    Interazioni La probabilità di interazioni con altri farmaci è molto bassa.Il Cotrimoxazolo va impiegato con cautela, in quanto può rallentare la eliminazione della Lamivudina.
    Dosi nella insufficienzarenale La dose somministrata deve essere ridotta:Clearance creatinina 10-50 mL/min: mg 100-150 in unica dose;Clearance creatinina < 10 mL/min: mg 50 in unica dose
    Resistenze Vedi la Pagina delle Mutazioni.
    Note L'Epivir non è raccomandato nei primi 3 mesi di gravidanza.E' dotato di efficacia nei confronti del virus dell'epatite B.

    Zerit Bristol-Myers Squibb
    Nome farmacologico Stavudina (D4T) Foglietto illustrativo (in inglese)
    Prima Registrazione FDA: Giugno '94SSN: Luglio '96 - Fascia H
    Formulazioni Capsule 15 - 20 - 30 - 40 mg
    Nuova formulazione Zerit XR (eXtended Release): Approvato dall'FDA il 31-12-2002.Nuova formulazione di Zerit in capsule da 100 (per peso > 60 kg) e da 75 mg (per peso < 60 kg).E' caratterizzata dal fatto di essere "a lento rilascio", e quindi con una emivita prolungata che ne consente la monosomministrazione giornaliera.La sua approvazione in Italia è prevista per il 2004.
    Posologia giornalieranell'adulto + < 60 Kg: mg 30 x 2> 60 Kg: mg 40 x 2
    Modalità di assunzione Una compressa ogni 12 ore, indipendentemente dai pasti.
    Meccanismo d'azione E' un analogo della timidina, alla quale si sostituisce durante il processo di sintesi del DNA-provirale, bloccando l'attività della transcriptasi inversa.
    Proprietà farmacocinetiche Biodisponibilità dopo somministrazione orale: 86%.Emivita serica: 1 ora;Emivita intracellulare: 3,5 ore.Eliminazione: 50% renale.Ha un discreto passaggio nel liquido cerebrospinale.
    Effetti collaterali Casi di pancreatiti fatali e non si sono verificati in corso di terapia con Stavudina associata a Didanosina, con o senza Idrossiurea.Neuropatia periferica: è stata riportata in circa il 15% dei casi; compare più facilmente in caso di malattia avanzata.LipodistrofiaCasi di acidosi lattica ed epatomegalia severa con steatosi anche fatale sono stati riportati con l'impiego di tutti gli analoghi nucleosidici, da soli o in combinazione fra loro (vedi pagine sugli Eventi avversi dei farmaci ARV).Casi di acidosi lattica fatali sono stati riportati in donne gravide trattate con la combinazione Didanosina + Stavudina, associate ad altri farmaci antiretrovirali.- La combinazione Didanosina + Stavudina dovrebbe essere utilizzata in gravidanza sono nel caso in cui i potenziali benefici siano significativamente superiori ai possibili rischi.Debolezza Neuromuscolare ascendente rapidamente progressiva (rara)Altro: Nausea, dolori muscolari, cefalea, astenia.
    Interazioni Non va utilizzato in associazione alla Zidovudina, in quanto è stato dimostrato un effetto antagonista tra i due farmaci, che competono con lo stesso substrato della transcriptasi inversa (studi ACTG 290 e ACTG 298).
    Dosi nella insufficienzarenale La dose somministrata deve essere ridotta:Clearance creatinina 10-50 mL/min: mg 20 x 2;Clearance creatinina < 10 mL/min: mg 20 x 2
    Resistenze Vedi la Pagina delle Mutazioni.
    Studi clinici Lo studio ACTG 306 ha dimostrato che la combinazione D4T-3TC ha la stessa efficacia della combinazione AZT-3TC.Lo studio START- I, aperto e randomizzato comparava il d4T vs l'AZT in associazione con 3TC ed IDV; lo studio ha dimostrato una efficacia antivirale sovrapponibile con le due combinazioni.

    Ziagen GlaxoWellcome
    Nome farmacologico Abacavir (ABC) Foglietto illustrativo (in inglese)
    Prima Registrazione FDA: Dicembre 1998.SSN: Novembre 1999.
    Formulazioni Capsule 300 mg; Sciroppo 20 mg/ml.
    Posologia giornalieranell'adulto + mg 300 x 2 / die
    Modalità di assunzione Una compressa ogni 12 ore, indipendentemente dai pasti.L'alcool aumenta del 41% i livelli di Abacavir.
    Meccanismo d'azione L'Abacavir è un analogo nucleosidico della Guanina. Utilizza una via di fosforilazione intracellulare unica, diversa rispetto a quella impiegata dagli altri RTI.
    Proprietà farmacocinetiche Biodisponibilità dopo somministrazione orale: 83%; Emivita serica: 1,5 ore;Emivita intracellulare: 21 ore;Eliminazione: 82% renale.E' in grado di superare la barriera emato-encefalica.Ha un metabolismo indipendente dal citocromo P450, per cui ha scarsi problemi di interazioni con altri farmaci.
    Effetti collaterali Reazioni di ipersensibilità ad esito fatale:I segni ed i sintomi includono: febbre, rash cutaneo, astenia, sintomi gastrointestinali (nausea, vomito, diarrea, dolori addominali) e sintomi respiratori (faringite, dispnea o tosse). L'Abacavir deve essere sospeso il più presto possibile se viene sospettata una reazione di ipersensibilità. L'Abacavir non deve mai essere ripreso una seconda volta. se ripreso, sintomi più gravi possono comparire nel giro di poche ore e possono essere fatali.Negli Studi clinici in circa il 3% dei pazienti trattati con Ziagen si è osservata la comparsa di reazioni di ipersensibilità, solitamente da 1 a 6 settimane dopo l'inizio del trattamento. In circa il 20% di questi casi vi possono essere all'esordio dei sintomi respiratori, quali tosse e affanno.Casi di acidosi lattica ed epatomegalia severa con steatosi anche fatale sono stati riportati con l'impiego di tutti gli analoghi nucleosidici, da soli o in combinazione fra loro (vedi pagine sugli Eventi avversi dei farmaci ARV).
    Studi clinici Recenti studi clinici hanno dimostrato una buona efficacia dell'Abacavir in associazione ad AZT+3TC, in un regime quindi costituito da 3 RTI.Lo Studio CNA 3005, randomizzato in doppio cieco, confronta l'efficacia dell'Abacvir vs l'Indinavir, in associazione con Combivir. Dopo 48 settimane si è osservata una efficacia sovrapponibile per pazienti con viremia iniziale di 10-100.000 copie, mentre per pazienti con HIV-RNA > 100.000 il regime contenente l'IDV si è dimostrato maggiormente efficace.Sospensione per effetti collaterali si sono verificate rispettivamente nel 17% e nel 21% dei casi.
    Resistenze Ha una efficacia limitata in pazienti già pesantemente trattati in precedenza, in particolar modo con AZT + 3TC. In particolare la presenza di più di 3 TAMs è associata con una mancata risposta virologica all'impiego di Abacavir.Per maggiori dettagli vedi la Pagina delle Mutazioni.

    Tenofovir Gilead Science Inc.
    Nome commerciale Viread
    Registrazione Ottobre 2001: approvazione da parte dell'FDA.Febbraio 2002: approvazione dalla Commissione EuropeaNovembre 2002: registrazione in Italia (pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale). Il farmaco dovrebbe essere disponibile all'inizio del 2003. NB: per ora il farmaco non è registrato per l'utilizzo in prima linea di trattamento, ed è quindi indicato solo in caso di inefficacia di una terapia precedente.
    Formulazioni Compresse
    Posologia 300 mg / die Non raccomandato in caso di insufficienza renale (clearance creatinina < 60 ml/min).
    Modalità di assunzione Una sola volta al giorno, data la lunga emivita intracellulare.Può essere assunto con o senza cibo.
    Proprietàfarmacocinetiche La biodisponibilità dopo somministrazione orale è aumentata se il farmaco viene assunto con il cibo: 25% a digiuno, 39% con pasto ricco di grassi.La lunga emivita (serica: 17 ore, intracellulare: 10-50 ore) ne permette la monosomministrazione giornaliera.L'eliminazione è renale.
    Effetti collaterali Studi in vitro hanno dimostrato una minore nefrotossicità rispetto all'Adefovir.Studi sui macachi hanno mostrato anemia alle dosi più alte. Può provocare inoltre aumento di CPK e delle transaminasi, e riduzione di calcio e fosforo.Altri effetti collaterali: astenia, cefalea, diarrea, nausea e vomito.Rare segnalazioni di insufficienza renale.Il farmaco è controindicato in gravidanza. Casi di acidosi lattica ed epatomegalia severa con steatosi anche fatale sono stati riportati con l'impiego di tutti gli analoghi nucleosidici, da soli o in combinazione fra loro (vedi anche le pagine sugli Eventi avversi dei farmaci ARV).Nel luglio 2004 l'FDA ha approvato una revisione delle informazioni sulla sicurezza del Tenofovir riportate sul foglietto illustrativo. Si avverte che il farmaco non è indicato per la terapia della epatite cronica B, e che la sua sicurezza ed efficacia non sono state adeguatamente valutate nei pazienti con duplice infezione HIV e HBV.Sono stati infatti segnalate gravi riacutizzazioni di epatite B in pazienti coinfetti dopo l'interruzione della terapia con Tenofovir. L'FDA avvisa in questi casi di monitorare strettamente la funzionalità epatica per molti mesi; se è il caso va valutata l'opportunità di iniziare un adeguato trattamento per l'epatite B.
    Interazioni Il Tenofovir non viene metabolizzat dal citocromo p450, per cui non vi sono interazioni con gli inibitori della proteasi e con gli NNRTI, così come non ve ne sono con numerosi altri farmaci che vengono metabolizzati tramite questa via.Riportata interazione con la Didanosina (ddI): Il Tenofovir aumenta la Cmax del ddI del 49% quando i due farmaci vengono assunti a due ore di distanza. Se invece l'assunzione è contemporanea, allora l'incremento arriva al 64%. Per tale motivo sono in corso studi di farmacocinetica per valutare dosi ridotte di ddI in associazione a Tenofovir.Per maggiori dettagli consulta le Tabelle delle Interazioni.
    Resistenze Risulta essere attivo nei confronti di ceppi virali resistenti ad AZT, ddI e ddC, ed a ceppi con la mutazione Q151M e K70E; ha inoltre una attività aumentata verso i ceppi che presentano la mutazione M184V associata a resistenza al 3TC. La presenza della mutazione K65R ne riduce invece la sensibilità di circa 3-4 volte; questa mutazione viene tuttavia riscontrata più raramente (2% circa).Anche la presenza di 3 o più tra le mutazioni che conferiscono resistenza agli nRTI, le cosidette TAMs (41, 67, 70, 210, 215, 219) è in grado di ridurre notevolmente l'efficacia del Tenofovir, in particolar modo quando sono presenti le mutazioni 41L e 210W.Infatti, studi effettuati su pazienti pesantemente trattati hanno mostrato le maggiori riduzioni della carica virale in quei pazienti senza TAMs o con la mutazione M184V. La presenza contemporanea di TAMS e della M184V comportava invece una riduzione di viremia solo del 50%; pazienti con 3 o 4 TAMs, ma senza le mutazioni 41 e 210, e senza la 65R, hanno ancora valide risposte virologiche con l'aggiunta del Tenofovir al regime terapeutico in corso.
    Note Il farmaco ha mostrato una efficacia molto elevata quando usato nella profilassi post-esposizione in macachi infettati con il SIV.
    Studi clinici Gli studi Gilead 902 e 907, condotti in doppio-cieco verso placebo su pazienti già trattati, hanno mostrato ottimi risultati, con significativa riduzione della replicazione virale mantenuta fino alla 48esima settimana. Da notare che i pazienti arruolati mostravano inizialmente resistenza agli RTI nel 94% dei casi, agli IP nel 57% e agli NNRTI nel 32%.Lo Studio 903, condotto su pazienti mai trattati in prcedenza, ha dimostrato una efficacia del Tenofovir del tutto sovrapponibile a quella della Stavudina, in associazione con 3TC ed Efavirenz, ma con minori effetti collaterali.

    Emtriva (Gilead Sciences)
    Nome farmacologico Emtricitabina, FTC
    Descrizione Analogo della Tiacitidina, è un farmaco strutturalmente simile alla Lamivudina, ma con una attività in vitro contro l'HIV di circa 4-10 volte maggiore.
    Registrazione FDA: 2 Luglio 2003 SSN: Giugno 2005
    Formulazioni Capsule 200 mg
    Posologia e Proprietà farmacocinetiche La dose consigliata è di una capsula da 200 mg una sola volta al giorno, da assumere con o senza cibo.Biodisponibilità dopo somministrazione orale: 93%;emivita serica: 10 ore;emivita intracellulare: 39 ore;eliminazione: renale.
    Effetti collaterali Gli eventi avversi più comunemente osservati nei pazienti trattati con FTC sono stati cefalea, diarrea, nausea e rash, che sono stati generalmente di entità da lieve a moderatamente severa. Circa l'1% dei pazienti ha sospeso il trattamento a causa di questi eventi.Con l'eccezione delle alterazioni della pigmentazione cutanea (aumento di pigmentazione a livello delle palme delle mani e della pianta dei piedi), che negli studi clinici è stata riportata con maggior frequenza nei pazienti dei gruppi in trattamento con FTC, tutti gli altri eventi hanno avuto la stessa incidenza nei vari gruppi di trattamento. Questo evento si è verificato prevalentemente nei pazienti di razza non-Caucasica.Come per gli altri nRTI, anche l'FTC può provocare acidosi lattica e steatosi epatica.
    Studi clinici L'FDA ha basato la sua approvazione sui dati a 48 settimane di due studi clinici.Il primo è uno studio multicentrico, controllato, in doppio cieco, che ha confrontato l'FTC (200 mg die) in associazione a ddI ed EFV, verso d4T, ddI e EFV in 571 pazienti naive alla terapia antiretrovirale. Alla 48a settimana la percentuale di pazienti con viremia < 400 copie era rispettivamente dell'81% e del 61%, e con viremia < 50 copie era del 78% e del 59%. L'incremento medio dei CD4 dal valore basale era rispettivamente di 168 e di 134 cellule.Il secondo studio era aperto, multicentrico, controllato, che confrontava FTC e 3TC, in associazione ad AZT o d4T e ad un inibitore della proteasi o ad un NNRTI in 440 pazienti già trattati, e che fossero in terapia con un regime contenente 3TC da almeno un anno e con viremia < 400 copie. La percentuale di pazienti che ha mantenuto la viremia al di sotto delle 400 copie dopo 48 settimane è stata del 77% nel gruppo trattato con FTC e dell'82% nel gruppo trattato con 3TC, e con meno di 50 copie del 67% e 72% rispettivamente. L'incremento medio dei CD4 rispetto al valore basale è stato di 29 e 61 cellule.
    Resistenze Come per la Lamivudina, la resistenza è provocata dalla mutazione M184V, per cui l'FTC non è attivo verso ceppi già resistenti al 3TC.
    Note Il farmaco ha dimostrato attività anche nei confronti dell'HBV, ma il suo effetto non è stato studiato nei pazienti con coinfezione HIV-HBV. Sono stati segnalati dei casi di riacutizzazione dell'epatite B in pazienti coinfetti dopo la sospensione dell'FTC.

    Combivir GlaxoWellcome
    Nome farmacologico Zidovudina (AZT) + Lamivudina (3TC) Foglietto illustrativo (in inglese)
    Prima Registrazione FDA: Settembre 1997SSN: Marzo 1998 - Fascia H
    Formulazioni Capsule 300 mg AZT + 150 mg 3TC.
    Posologia giornalieranell'adulto + cpr. 1 x 2
    Modalità di assunzione Una compressa ogni 12 ore, indipendenti dai pasti.
    Note E' il primo farmaco composto dalla associazione di due antiretrovirali.Il principale vantaggio del Combivir è quello di ridurre il numero di compresse da assumere, favorendo così una migliore compliance da parte dei pazienti e quindi migliorando l'aderenza alla terapia.


    Trizivir GlaxoWellcome
    Nome farmacologico Zidovudina (AZT) + Lamivudina (3TC) + Abacavir (ABC)
    Registrazione FDA: 15.11.2000EMEA: 04.01.2001SSN: 12.03.2001
    Formulazioni Capsule che contengono:- 300 mg Zidovudina (AZT)- 150 mg Lamivudina (3TC)- 300 mg Abacavir (ABC):
    Posologia giornalieranell'adulto + cpr. 1 x 2
    Modalità di assunzione Una compressa ogni 12 ore.Non è necessaria nessuna restrizione dietetica.
    Note Gli studi clinici hanno dimostrato una bioequivalenza del Trizivir rispetto alla somministrazione singola dei tre farmaci.

    Kivexa GlaxoSmithKline
    Nome farmacologico Associazione di Abacavir (ABC) + Lamivudina (3TC) (per maggiori dettagli su questi due farmaci consulta le schede rispettive)
    Prima Registrazione FDA: 2 Agosto 2004 (con il nome di Epzicom)SSN: 20 maggio 2005
    Formulazioni Abacavir 600 mg + Lamivudina 300 mg
    Posologia giornalieranell'adulto Una sola compressa al giorno.
    Note il Kivexa è stato approvato sulla base di ampi studi clinici controllati che hanno dimostrato che l'Abacavir dosato una sola volta al giorno mantiene gli stessi effetti antiretrovirali della doppia dose quotidiana.


    Truvada Gilead Science Inc.
    Nome farmacologico Associazione di Tenofovir (TDF) + Emtricitabina (FTC) (per maggiori dettagli su questi due farmaci consulta le schede rispettive)
    Prima Registrazione FDA: Agosto 2004EMEA: Febbraio 2005 AIFA: Agosto 2005
    Formulazioni Tenofovir DF 300 mg + Emtricitabina 200 mg
    Posologia giornalieranell'adulto Una sola compressa al giorno.
    Note L'approvazione del Truvada è stata basata su studi clinici che hanno dimostrato la bioequivalenza dei parametri di farmacocinetica dei due farmaci associati rispetto a quelli dei due farmaci somministrati singolarmente.

    RTI in fase sperimentale

    Reverset :

    Nuovo NRTI con potente attività antivirale su ceppi resistenti ad altri analoghi nucleosidici. Dopo i 10 giorni di monoterapia studiati in persone non pre-trattate, sono state arruolati 10 pazienti con CD4 > 50 cells/mm3 e HIV-RNA > 1000 cp/ml, pre-trattati (media di viremia 4.53 log e con almeno 3 mutazioni) a cui sono stati somministrati in doppio cieco 200 mg una volta al giorno di Reverset aggiunti al regime in corso. La media di diminuzione dell’HIV-RNA all’11° giorno è stata di 0.8 log ed il 50% dei soggetti hanno raggiunto livelli di viremia < 400 cp/ml.
    Non sono stati riportati eventi avversi gravi e l’incidenza è stata la stessa anche nel braccio con placebo. I ricercatori hanno concluso che Reverset aggiunto alla terapia in corso è efficace anche in soggetti con mutazioni che conferiscono resistenza alla zidovudina e alla lamivudina. Sono iniziati di recente studi su soggetti pre-trattati di lunga durata con dosaggi di 50, 100 o 200 mg una volta al giorno.

    Amdoxovir (DAPD, Triangle Pharmaceuticals - Gilead Sciences):
    Questa molecola viene rapidamente assorbita e quindi metabolizzata in vivo a formare D-dioxolan-guanosina (DXG), un analogo della guanina dotato di una potente attività contro l'HIV. Studi di tossicologia negli animali da esperimento non hanno evidenziato particolari tossicità. Il farmaco richiede una o due somministrazioni al giorno, avendo una emivita di circa 7 ore.
    In vitro l'Amdoxovir mantiene attività antivirale contro ceppi resistenti ad AZT/3TC e d4T/3TC, ed anche contro ceppi con la mutazione Q151M e con l'inserzione 69SS (che inducono resistenza a tutta la classe degli nRTI). Induce invece l'insorgenza in vitro delle mutazioni K65R e L74V.
    Alla 10a CROI (Boston, 2003) sono stati presentati i risultati preliminari di uno studio di fase I (DAPD-150): 18 pazienti pluritrattati sono stati randomizzati a ricevere DAPD alla dose di 300 o 500 mg in aggiunta alla loro terapia antiretrovirale di base. Dopo 12 settimane la riduzione della carica virale nei due gruppi era rispettivamente di 1,53 e 0,75 log.
    Studi di tossicità hanno dimostrato che le dosi più elevate di DAPD sono associate al rischio di comparsa di opacità del cristallino.
    Lo studio è tuttora in corso.


    Gli Inibitori Non Nucleosidici della Transcriptasi Inversa (NNRTI)
    Questa classe di farmaci fu scoperta circa 10 anni fa, ma il loro sviluppo era stato ostacolato dagli scarsi risultati ottenuti in seguito all'impiego in monoterapia, che aveva comportato la rapida insorgenza di resistenza. Sono stati poi rivalutati con success nell'ambito delle terapie di combinazione.
    Meccanismo d'azione (Figura 1):
    anche questi, come i farmaci della classe degli nRTI, sono inibitori della transcriptasi inversa, ma agiscono con un meccanismo diverso: si legano direttamente al sito attivo dell'enzima, bloccandone l'azione ed impedendo così che avvenga la formazione del DNA provirale.
    Questi farmaci hanno una buona biodisponibilità ed una lunga emivita, per cui possono essere somministrati solo una o due volte al giorno.

    Viramune Boehringer Ingelheim
    Nome farmacologico Nevirapina (NVP) Foglietto illustrativo (in inglese)
    Registrazione FDA: Giugno 1996SSN: Febbraio 1998 - Fascia H
    Formulazioni Compresse 200 mgSospensione orale 10 mg/ml
    Posologia giornalieranell'adulto + oppure mg 200 x 2 mg 400 in unica dose
    Modalità di assunzione Ogni 12 ore, indipendente dai pasti. Durante i primi 14 giorni di terapia la dose è di una sola compressa al giorno. In alcuni studi clinici la Nevirapina è stata utilizzata in monodose (2 compresse in una volta sola), con risultati sovrapponibili alla somministrazione 2 volte al giorno.
    Meccanismo d'azione La Nevirapina si lega direttamente alla transcriptasi inversa, distruggendo il sito catalitico dell'enzima bloccandone l'attività.
    Proprietà farmacocinetiche La Nevirapina viene rapidamente assorbita dopo la somministrazione orale, in quanto ha una ottima biodisponibilità (>90%).Emivita serica: 25-30 ore.Eliminazione: renale 80%, fecale 10%.Ha una buona diffusione nel liquido cerebrospinale.
    Effetti collaterali Reazioni allergiche severe, potenzialmente fatali: nel corso di studi clinici la terapia con Nevirapina è stata sospesa nel 7% dei casi in seguito a reazioni allergiche (febbre e rash); rari casi di Sindrome di Stevens-Johnson (reazioni di ipersensibilità potenzialmente fatali) sono state osservate con tutti gli NNRTI.Nella maggior parte dei casi però le reazioni sono state lievi o moderate; solitamente insorgono entro il primo mese di trattamento. Tossicità epatica severa, potenzialmente fatale, compresa epatite colestatica fulminante, necrosi epatica ed insufficienza epatica. Sono stati segnalati rari casi di epatiti gravi con evoluzione fatale; più frequentemente si possono osservare lievi alterazioni degli indici epatici (transaminasi). Recentemente (12.4.00) l'EMEA (European Medicines Evaluation Agency) ha rivisto le indicazioni relative alla gestione degli effetti collaterali in corso di terapia con Nevirapina, con particolare riferimento alla tossicità epatica (per maggiori informazioni consulta il testo originale pubblicato dall'EMEA).Altro: Sono stati riportati nausea, stanchezza, febbre, cefalea, sonnolenza (vedi anche le pagine sugli Eventi avversi dei farmaci ARV).La Nevirapina non deve mai essere ripresa dopo un episodio di epatite severa o di una reazione di ipersensibilità.
    Interazioni Induttore del citocromo p450.La Nevirapina può interferire con vari farmaci: Rifampicina, Rifabutina, Triazolam, contraccettivi orali, Inibitori delle Proteasi (accelera la eliminazione di Saquinavir e di Indinavir).La Nevirapina accelera il metabolismo del Metadone: sono state descritte crisi di astinenza in pazienti trattati con Metadone dopo 7-8 giorni dall'inizio della terapia con Nevirapina.Per maggiori dettagli consulta le Tabelle delle Interazioni.
    Resistenze Quando utilizzata in monoterapia la Nevirapina provoca rapidamente l'insorgenza di ceppi virali resistenti.Vedi la Pagina delle Mutazioni.
    Studi clinici Lo Studio ATLANTIC ha confrontato tre differenti regimi terapeutici in pazienti naive, basati sulle combinazioni di ddI-d4T con Nevirapina (un NNRTI), Indinavir (un IP) e Lamivudina (un RTI). All'ICAAC '99 sono stati presentati i risultati dopo 48 settimane: per pazienti con viremia iniziale medio-bassa l'efficacia dei tre regimi terapeutici è risultata sovrapponibile, mentre per chi partiva da valori viremici elevati il braccio contenente 3 RTI si è rivelato meno efficace. Complessivamente i bracci contenenti NVP e IDV hanno avuto una efficacia similare.Lo Studio COMBINE ha invece confrontato direttamente la NVP con il Nelfinavir in pazienti naive. Dopo 36 settimane i pazienti in terapia con NVP hanno mostrato una risposta virologica significativamente migliore, mentre l'incremento del numero dei CD4 è risultato sovrapponibile.Questi dati complessivamente supportano l'impiego di uno schema "risparmia-IP" come prima linea di una terapia antiretrovirale.
    Sito Web Viramune

    Sustiva DuPont - Merck
    Nome farmacologico Efavirenz (EFV) Foglietto illustrativo (in inglese)
    Registrazione FDA: Settembre 1998.Commissione Europea (EMEA): 2 Giugno 1999.SSN: 3 Novembre 1999.
    Formulazioni Capsule 50 - 100 - 200 mg
    Nuove formulazioni Febbraio 2002: approvata dall'FDA la nuova formulazione di Sustiva in capsule da 600 mg. La terapia diventa quindi di una singola capsula al giorno.
    Posologia giornalieranell'adulto Oppure, disponibile a breve: mg 600/die (3 cp. da 200 mg o 1 cp. da 600 mg) in unica dose.
    Modalità di assunzione Unica somministrazione, preferibilmente prima di andare a dormire. Indipendente dai pasti, ma vanno evitati i cibi grassi, in quanto possono aumentare del 50% i livelli plasmatici dell'Efavirenz.
    Meccanismo d'azione L'Efavirenz si lega direttamente alla transcriptasi inversa, distruggendo il sito catalitico dell'enzima bloccandone l'attività.
    Proprietà farmacocinetiche Biodisponibilità: > 60%.Emivita serica: 40-55 ore.Eliminazione: renale 14-34%, fecale 16-61%.Ha una buona diffusione nel liquido cerebrospinale.
    Effetti collaterali Disturbi neurologici: Sono stati descritti disturbi quali senso di stordimento, difficoltà di concentrazione, amnesie, sonnolenza, comparsa di incubi notturni, insonnia, agitazione, allucinazioni, euforia. Questi disturbi si osservano prevalentemente nelle prime 2-3 settimane di terapia. In studi clinici la frequenza complessiva di questi effetti collaterali è stata del 52%, ma ha richiesto la sospensione del farmaco solo nel 2,6% dei casi.Reazioni allergiche: nel corso di studi clinici la terapia con Efavirenz è stata sospesa nel 1.7% dei casi in seguito a reazioni allergiche (febbre e rash); rari casi di Sindrome di Stevens-Johnson (reazioni di ipersensibilità potenzialmente fatali) sono state osservate con tutti gli NNRTI.Altro: alterazioni della funzionalità epatica, dislipidemia, disturbi gastro- intestinali, falsa positività del test per i cannabinoidi.L'Efavirenz si è rivelato teratogeno nelle scimmie (vedi anche le pagine sugli Eventi avversi dei farmaci ARV).
    Interazioni E' un induttore/inibitore del citocromo p450.L'Efavirenz riduce la concentrazione di Indinavir (31%), il cui dosaggio va quindi aumentato a mg 1.000 x 3, e di Saquinavir (62%), con il quale pertanto non dovrebbe essere associato.L'Efavirenz aumenta la concentrazione di Nelfinavir (20%) e Ritonavir (18%).Riduce la concentrazione della Rifabutina, la cui dose andrebbe aumentata del 50%.Per maggiori dettagli consulta le Tabelle delle Interazioni.
    Resistenze La resistenza all'Efavirenz comporta resistenza anche agli altri farmaci di questa classe; non va inoltre utilizzato in pazienti che abbiamo mostrato resistenza ad altri NNRTI.Vedi la Pagina delle Mutazioni.
    Studi clinici Lo Studio DuPont006 ha confrontato le combinazioni di EFV-AZT-3TC vs IDV-AZT-3TC vs EFV-IDV. Dopo 72 settimane la prima combinazione ha dimostrato la maggiore efficacia virologica, sia con l'analisi intent-to-treat che con l'analisi as-treated. Un migliore andamento è stato osservato anche per quanto riguarda il tempo di insorgenza del fallimento virologico, la durata della risposta e la tollerabilità.Uno studio presentato all'ICAAC '99 da Chun et al. (gruppo di A.Fauci, NIH), ha dimostrato che anche nei linfonodi di pazienti trattati con EFV si ottiene una drastica riduzione delle cellule contenti HIV in grado di replicarsi, analogamente a quanto era stato osservato in pazienti trattati con IP.Questi dati supportano l'impiego di uno schema "risparmia-IP" come prima linea di una terapia antiretrovirale.
    Sito Web Sustiva

    Rescriptor Pharmacia & Upjohn
    Nome farmacologico Delavirdina Foglietto illustrativo (in inglese)
    Registrazione FDA: Aprile 1997.
    Formulazioni Compresse 100 - 200 mg
    Posologia giornalieranell'adulto + + = mg 400 x 3 (cpr. da 100 mg)
    Modalità di assunzione Le compresse possono essere inghiottite intere oppure disciolte in acqua, indipendentemente dai pasti. La Delavirdina va assunta ad almeno un'ora di distanza dal ddI e dagli antiacidi.
    Meccanismo d'azione La Delavirdina si lega direttamente alla transcriptasi inversa, distruggendo il sito catalitico dell'enzima bloccandone l'attività.
    Proprietà farmacocinetiche Biodisponibilità dopo la somministrazione orale: 85%.Emivita serica: 5,8 ore.Eliminazione: renale 51%, fecale 44%.La diffusione nel liquido cerebrospinale è molto scarsa.
    Effetti collaterali Reazioni allergiche: nel corso di studi clinici la terapia con Delavirdina è stata sospesa nel 4.3% dei casi in seguito a reazioni allergiche (febbre e rash); rari casi di Sindrome di Stevens-Johnson (reazioni di ipersensibilità potenzialmente fatali) sono state osservate con tutti gli NNRTI.Altro: cefalea, alterazioni della funzionalità epatica, disturbi gastro- intestinali (vedi anche le pagine sugli Eventi avversi dei farmaci ARV).
    Interazioni Inibitore del citocromo p450.Sono controindicati: Rifampicina, Rifabutina, Terfenadina, Astemizolo, Fenitoina, Carbamazepina, Fenobarbitale, Alprazolam, Nifedipina, Cisapride.Può interferire con sedativi ipnotici, antiaritmici, anfetamine.L'inibizione del citocromo p450 provoca la ridotta eliminazione degli Inibitori delle proteasi (la dose dell'Indinavir va ridotta a mg 600x3) e di altri farmaci, quali Claritromicina, Dapsone, Chinidina, Warfarin.Per maggiori dettagli consulta le Tabelle delle Interazioni.
    Resistenze La resistenza alla Delavirdina comporta resistenza anche agli altri NNRTI.Vedi la Pagina delle Mutazioni.
    Sito Web Rescriptor

    NNRTI in fase sperimentale

    DPC-083 (Bristoll Myers-Squibb)
    Si tratta di un Quinazolinone, un NNRTI di "seconda generazione" derivato dall'Efavirenz.
    Ha una buona biodisponibilità dopo somministrazione orale, ed una farmacocinetica che ne permette la monosomministrazione quotidiana (emivita di circa 150 ore). Studi preliminari in vitro hanno mostrato efficacia nei confronti di ceppi virali resistenti agli altri NNRTI. In particolare ceppi con la mutazione K103N e Y181C rimanevano più sensibili rispetto all'Efavirenz. Rimane però resistenza in caso di presenza contemporanea delle mutazioni 103N e 100I.
    Lo Studio DPC 083-201, di fase II, è stato condotto su pazienti naive, confrontando il trattamento con Combivir + Efavirenz verso Combivir + 3 diversi dosaggi di DPC-083 (50, 100 e 200 mg una sola volta al giorno). Questo Studio è stato interrotto dalla BMS nel maggio 2002: la dose ottimale è risultata essere quella di 100 mg, ma i risultati a 24 settimane sono stati inferiori alle attese sia in termini di efficacia virologica che di tollerabilità.
    Saranno comunque pianificati degli Studi di fase III.

    TMC125 (Tibotec):
    Nuovo NNRTI di seconda generazione, sviluppato per essere attivo verso ceppi che presentano le mutazioni 100I, 103N, 181C, 188L e/o G190A/S, che provocano resistenza agli NNRTI attuali. Alla 9th Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections (Seattle, febbraio 2002) sono stati presentati i risultati di uno studio di fase II, condotto su 16 pazienti con confermata elevata resistenza agli NNRTI attuali (Efavirenz e Nevirapina). I pazienti sono stati trattati con 900 mg BID di TBC125 per una settimana, in sostituzione del precedente NNRTI; alla fine dei 7 giorni di terapia la riduzione media della carica virale era di 0,9 log, a dimostrazione della efficacia di questo farmaco anche in pazienti con elevata resistenza agli altri NNRTI.
    Diarrea e lieve cefalea sono stati gli unici effetti collaterali osservati, tutti di lieve entità.
    Capravirina (AG-1549) (Agouron Pharmaceuticals):
    La biodisponibilità dopo somministrazione orale è aumentata dalla assunzione con il cibo, e l'emivita è di circa 1,5-2 ore dopo una dose di 700 mg due volte al giorno. La Capravirina viene metabolizzata dal citocromo P450, e la sua concentrazione aumenta di circa 2 volte quando è associata a Nelfinavir o Indinavir, senza che comunque vi sia un significativo effetto farmacologico.
    Studi in vitro hanno evidenziato una elevata efficacia antivirale di questo farmaco nei confronti di ceppi virali contenenti singole mutazioni in grado di conferire resistenza agli NNRTI attualmente disponibili (K103N, V106A e L100I). La presenza però di due mutazioni associate induce una riduzione di sensibilità di 24-40 volte. Anche la presenza della mutazione Y181C riduce la sensibilità della Capravirina di circa 13 volte.
    Studi di fase I hanno dimostrato una potenza antivirale di circa 10 volte superiore a quella degli attuali NNRTI. Gli effetti collaterali osservati in studi di fase II sono prevalentemente di tipo gastroenterico (nausea, vomito e diarrea).
    NB: Nel Gennaio 2001 la FDA aveva bloccato l'utilizzo della Capravirina in qualsiasi trial clinico, in seguito al riscontro di casi di vasculite con esito fatale negli animali. Successivamente, questi effetti collaterali non sono stati dimostrati nell'uomo, dove vengono utilizazte dosi molto inferiori, per cui le sperimentazioni nei trials clinici sono riprese, e sono attualmente in corso anche in Italia.
    GW4751, GW4511 e GW3011 (GlaxoWellcome):
    Si tratta di benzofenoni, molecole di nuova generazione, presentate alla 10a CROI (Febbraio 2003, Boston).
    Sono dei potenti inibitori non nucleosidici della RT, attivi sia verso i ceppi di HIV wild-type sia verso molti ceppi di virus resistenti agli attuali NNRTI. Da queste molecole è stato selezionato un composto che entrerà a breve in fase I di sperimentazione.
    Coactinon (Emivirina, EMV; Triangle Pharmaceuticals):
    L'EMV è un analogo nucleosidico che agisce come un NNRTI, bloccando in modo non competitivo il sito catalitico della transcriptasi inversa.
    L'emivita di 8-10 ore ne consente una somministrazione due volte al giorno. Gli studi preliminari di farmacocinetica hanno dimostrato una buona biodisponibilità dopo somministrazione orale ed un'ottima penetrazione nel sistema nervoso centrale.
    E' stato presentato all'ICAAC '99 uno studio di fase II, nel quale l'Emivirina ha dimostrato una buona efficacia antivirale in associazione con ddI e d4T in pazienti con limitate esperienze terapeutiche precedenti. E' stato somministrato alle dose di 500 o 750 mg 2 volte al giorno; non sono stati osservati effetti collaterali gravi, mentre sono stati segnalati nausea, cefalea e diarrea, solitamente di lieve entità e di durata transitoria (tali effetti potrebbero anche essere imputati al ddI). Nel 23% dei pazienti si è manifestato un rash, ma nella maggior parte dei casi i pazienti hanno potuto ugualmente proseguire la terapia.
    In circa il 62% dei casi trattati in uno studio preliminare è emersa la mutazione K103N, che conferisce cross-resistenza agli altri farmaci di questa classe. Altre mutazioni che conferiscono resistenza all'Emivirina sono la 108I, 181Y, 190A e 138K.
    In uno studio di fase II su pazienti naive, dopo 48 settimane di triplice terapia con 2 RTI + Emivirina si è osservata una risposta virologica solo nel 30-42% dei pazienti. Questi risultati un po' deludenti ne hanno ritardato l'approvazione, in attesa che ulteriori studi possano confermare una efficacia maggiore.
    NB: Nel Gennaio 2002 la Triangle ha interrotto le sperimentazioni con questo farmaco, in quanto i risultati di uno studio comparativo nei confronti dell'Abacavir sono stati giudicati insoddisfacenti.


    Gli Inibitori della Proteasi (IP)
    Sono i farmaci che hanno radicalmente modificato l'impatto della terapia antiretrovirale, essendo caratterizzati da una potente attività di blocco della replicazione virale.
    Meccanismo d'azione (Figura 1):
    questi farmaci agiscono nell'ultima fase del ciclo replicativo dell'HIV, inibendo la proteasi virale, un enzima che permette la maturazione delle nuove particelle virali rendendole a loro volta infettanti (vedi Il Virus - Il ciclo replicativo).


    Effetti collaterali comuni a tutti gli IP:
    · Iperglicemia: sono stati segnalati casi di peggioramento dei valori glicemici in pazienti già diabetici, e casi di nuova insorgenza di diabete, compresi casi di chetoacidosi diabetica.
    · Lipodistrofia (redistribuzione del grasso corporeo) e dislipidemia: sono stati riscontrati con aumentata frequenza in corso di terapia con IP. L'ipertrigliceridemia e l'ipercolesterolemia devono essere attentamente valutati per il rischio di complicanze cardiovascolari (Vedi anche le pagine sugli Eventi avversi dei farmaci ARV).
    · Possibile aumento di episodi emorragici in pazienti con emofilia.

    Invirase Roche
    Nome farmacologico Saquinavir hard-gel capsule (SQV)Foglietto Illustrativo
    Registrazione FDA: Dicembre 1995SSN: Ottobre 1996 - Fascia H
    Formulazioni Capsule 200 mg
    Nuove Formulazioni Nuova Registrazione Capsule da 500 mg (in corso di sviluppo da parte di Roche) Il 6.01.2004 la FDA ha approvato la combinazione di Invirase + dose booster di Ritonavir, alle dosi rispettivamente di 1.000 e 100 mg due volte al giorno.
    Posologia giornalieranell'adulto + + = mg 600 x 3NB: non più raccomandato come unico IP. = mg 400 + Ritonavir 400 x 2 / dieoppure: = mg 1.000 + Ritonavir 100 x 2 / die
    Modalità di assunzione Ogni 8 ore, a stomaco pieno, preferibilmente con pasto ricco di lipidi. Il succo di pompelmo aumenta l'assorbimento del SQV. Non ci sono restrizioni dietetiche quando viene assunto assieme al Ritonavir.
    Proprietà farmacocinetiche Il SQV, come gli altri farmaci della classe degli IP, è in grado di bloccare il sito attivo della proteasi virali, un enzima indispensabile per la completa maturazione delle nuove particelle virali. L'affinità per la proteasi virale è di circa 50.000 volte più elevata rispetto a quella per la proteasi delle cellule umane.Il SQV hard-gel è caratterizzato da una biodisponibilità molto scarsa (4%), molto influenzata dalla assunzione di cibo.Emivita serica: 1 - 2 ore.L'eliminazione del farmaco avviene per il 90% per via epatica.
    Proprietà farmacocinetiche Il SQV, come gli altri farmaci della classe degli IP, è in grado di bloccare il sito attivo della proteasi virali, un enzima indispensabile per la completa maturazione delle nuove particelle virali. L'affinità per la proteasi virale è di circa 50.000 volte più elevata rispetto a quella per la proteasi delle cellule umane.Il SQV hard-gel è caratterizzato da una biodisponibilità molto scarsa (4%), molto influenzata dalla assunzione di cibo.Emivita serica: 1 - 2 ore.L'eliminazione del farmaco avviene per il 90% per via epatica.
    Effetti collaterali Disturbi gastro-intestinali: Nausea, diarrea, dolori addominali.Altro: Rash, astenia, cefalea, alterazione enzimi epatici.Altri effetti collaterali comuni a tutti gli IP.
    Interazioni Inibisce il citocromo p450.Concentrazione di SQV aumentata da: Ritonavir, Nelfinavir, Delavirdina, Ketoconazolo.Concentrazione di SQV ridotta da: Nevirapina, Rifampicina, Rifabutina, Fenobarbitale, Fenitoina, Carbamazepina, Desametazone.Controindicati: Terfenadina, Astemizolo, Cisapride, Triazolam.Per maggiori dettagli consulta le Tabelle delle Interazioni.
    Resistenze Il Saquinavir è indicato nella terapia di prima linea, in quanto i ceppi resistenti al SQV mantengono una certa sensibilità nei confronti degli altri IP.Vedi la Pagina delle mutazioni.
    Note Può essere utilizzato in associazione ad altri IP, in particolar modo a Ritonavir e Nelfinavir, in caso di fallimento di una terapia contenente un IP.
    Sito Web Invirase

    Fortovase Roche
    Nome farmacologico Saquinavir soft-gel capsule (SQV)Foglietto illustrativo
    Registrazione FDA: Novembre 1997SSN: Gennaio 2000.
    Formulazioni Capsule 200 mg, da conservare in frigorifero oppure a temperatura ambiente per non più di 3 mesi.
    Posologia giornalieranell'adulto + + = mg 1.200 x 3 (*) Con Ritonavir come booster: · 1.000 mg + 100 mg due volte al dì · 400 mg + 400 mg due volte al dì
    Modalità di assunzione Ogni 8 ore, a stomaco pieno con pasto abbondante.
    Proprietà farmacocinetiche Il SQV soft-gel è caratterizzato da una maggiore biodisponibilità dopo somministrazione orale rispetto alla formulazione hard-gel dell'Invirase (circa 10 volte maggiore).Emivita sierica: 1 - 2 ore.
    Effetti collaterali Disturbi gastro-intestinali: Nausea, diarrea, dolori addominali.Altro: Rash, astenia, cefalea.Altri effetti collaterali comuni a tutti gli IP.
    Interazioni Inibisce il citocromo p450.Concentrazione di SQV aumentata da: Ritonavir, Nelfinavir, Delavirdina, Ketoconazolo.Concentrazione di SQV ridotta da: Nevirapina, Rifampicina, Rifabutina, Fenobarbitale, Fenitoina, Carbamazepina, Desametazone.Controindicati: Terfenadina, Astemizolo, Cisapride, Triazolam.Per maggiori dettagli consulta le Tabelle delle Interazioni.
    Resistenze Il Saquinavir è indicato nella terapia di prima linea, in quanto i ceppi resistenti al SQV mantengono una certa sensibilità nei confronti degli altri IP.Vedi la Pagina delle mutazioni.
    Note Può essere utilizzato in associazione ad altri IP, in particolar modo a Ritonavir e Nelfinavir, in caso di fallimento di una terapia contenente un IP.
    Studi clinici (*) Lo Studio TIDBID ha dimostrato, dopo 48 settimane, pari efficacia del SQV impiegato alla dose di 1.200 mg x 3 oppure alla dose di 1.600 x 2
    Sito Web Fortovase
    Crixivan Merck Sharp & Dohme
    Nome farmacologico Indinavir (IDV)Foglietto illustrativo (in inglese)
    Registrazione FDA: Marzo 1996SSN: Novembre 1996 - Fascia H
    Formulazioni Compresse 200 - 400 mg
    Posologia giornalieranell'adulto + + = mg 800 x 3 Dose con Ritonavir:400 mg IDV + 400 mg RTV, oppure800 mg IDV + 100 mg RTV, oppuredue volte al giorno, oppure
    Modalità di assunzione Ogni 8 ore, a stomaco vuoto (1 ora prima o 2 ore dopo i pasti) oppure dopo un pasto leggero (a basso contenuto di grassi). Un pasto abbondante riduce del 77% la concentrazione dell'Indinavir.La Didanosina ne riduce l'assorbimento, per cui va somministrata ad almeno 1 ora di distanza.E' necessario bere almeno 1,5-2 litri di acqua al giorno per prevenire la calcolosi renale.
    Proprietà farmacocinetiche L'Indinavir, come gli altri farmaci della classe degli IP, è in grado di bloccare il sito attivo della proteasi virali, un enzima indispensabile per la completa maturazione delle nuove particelle virali.Biodisponibilità dopo somministrazione orale: 65%.Emivita serica: 1,5 - 2 ore.Eliminazione: prevalentemente per via epatica.
    Effetti collaterali Calcolosi renale. Altro: disturbi gastrointestinali, nausea, tossicità epatica, iperbilirubinemia, cefalea, astenia, alterazioni del gusto (disgeusia).Altri effetti collaterali comuni a tutti gli IP.
    Interazioni Inibisce il citocromo p450.Concentrazione di IDV aumentata da: Delavirdina, Nelfinavir, Ketoconazolo, Itraconazolo.Concentrazione di IDV ridotta da: Efavirenz, Nevirapina, Rifampicina, Rifabutina, Fenobarbitale, Fenitoina, Carbamazepina, Desametazone.Controindicati: Triazolam, Midazolam, Terfenadina, Astemizolo, Cisapride, Rifampicina, Rifabutina.Per maggiori dettagli consulta le Tabelle delle Interazioni.
    Resistenze Ceppi resistenti all'Indinavir sono resistenti anche agli altri IP.Vedi la Pagina delle mutazioni.
    Note La resistenza a IDV comporta resistenza completa verso il Ritonavir, e parziale verso il Saquinavir ed il Nelfinavir.Uno studio clinico condotto dalla stessa MSD ha mostrato la non efficacia della somministrazione 2 volte al giorno dell'Indinavir.
    Sito Web Crixivan

    Norvir Abbott
    Nome farmacologico Ritonavir (RTV) Foglietto illustrativo (in inglese)
    Registrazione FDA: Marzo 1996SSN: Dicembre 1996 - Fascia H
    Formulazioni Capsule 100 mg - Sospensione orale 80 mg/ml.Le capsule vanno conservate in frigorifero, ma possono essere lasciate a temperatura ambiente fino a 30 giorni.
    Posologia giornalieranell'adulto + = mg 600 x 2 (7,5 ml x 2)
    Modalità di assunzione Ogni 12 ore, a stomaco pieno. La dose piena va raggiunta gradualmente, iniziando con mg 300x2 ed incrementando ogni 2-3 giorni di 100 mg a somministrazione.La Didanosina ne riduce l'assorbimento, per cui va somministrata ad almeno 2 ore di distanza.
    Proprietà farmacocinetiche Il Ritonavir, come gli altri farmaci della classe degli IP, è in grado di bloccare il sito attivo della proteasi virali, un enzima indispensabile per la completa maturazione delle nuove particelle virali.Biodisponibilità dopo somministrazione orale: 70%.Emivita serica: 3 - 5 ore.Eliminazione: prevalentemente per via epatica.
    Effetti collaterali Gastro-intestinali: nausea, vomito, diarrea, dolori addominali. Neurologici: Parestesie della zona peri-orale e delle estremità, alterazioni del gusto.Altro: tossicità epatica, incremento di trigliceridi, CPK e acido urico.Altri effetti collaterali comuni a tutti gli IP.
    Interazioni E' un potente inibitore del citocromo p450: la contemporanea somministrazione di Ritonavir con determinati farmaci può portare a reazioni avverse potenzialmente gravi, a causa del tipo di metabolismo epatico di questi farmaci.Il Ritonavir può aumentare la concentrazione di vari farmaci:Alprazolam (Xanax), Amiodarone (Cordarone), Astemizolo (Hismanal), Cisapride (Prepulsid, Alimix), Diazepam (Valium), Piroxicam (Feldene), Propafenone (Rythmol), Terfenadina (Teldane), Triazolam (Halcion).Il Ritonavir può ridurre la concentrazione di vari farmaci:Estradiolo, Teofillina, Claritromicina, Sulfametossazolo, Zidovudina.Per maggiori dettagli consulta le Tabelle delle Interazioni.
    Resistenze Ceppi resistenti al Ritonavir sono resistenti anche agli altri IP.Vedi la Pagina delle mutazioni.
    Note La resistenza a RTV comporta resistenza completa verso l'Indinavir, e parziale verso il Saquinavir ed il Nelfinavir.Può essere utilizzato in associazione con altri IP, in particolare con il Saquinavir, in caso di fallimento di una terapia contenente un solo IP.
    Studi clinici Recentemente si è visto che le interazioni tra il RTV e gli altri IP possono essere utilmente sfruttate per migliorare la farmacocinetica di questi ultimi. Infatti, questa associazione permette di ridurre la dose e la frequenza di somministrazione del secondo IP, migliorando in tal modo la tolleranza e l'aderenza alla terapia.Il RTV era già stato ampiamente impiegato in associazione con il Saquinavir, ma studi recenti hanno confermato l'efficacia clinica della associazione del RTV anche con Indinavir e Nelfinavir. Con l'IDV in particolare si è dimostrato efficace un dosaggio di soli 400 mg x 2 (con 400 x 2 anche di RTV), anziché i consueti mg 800x3 della terapia standard.
    Sito Web Norvir

    Viracept Roche (Agouron P.)
    Nome farmacologico Nelfinavir (NFV)Foglietto Illustrativo
    Registrazione FDA: Marzo 1997SSN: Ottobre 1998 - Fascia H
    Formulazioni Compresse 250 mg
    Posologia giornalieranell'adulto + + = mg 750 x 3 oppure : + = mg 1.250 x 2
    Nuove formulazioni 30 Aprile 2003: approvata dall'FDA la nuova formulazione di Viracept in compresse da 625 mg, da assumere con un dosaggio di 2 compresse due volte al giorno. La biodisponibilità sembra essere superiore a quella delle compresse tradizionali da 250 mg.
    Modalità di assunzione Preferibilmente con pasto leggero.Nel Novembre 1999 l'FDA ha approvato la somministrazione due sole volte al giorno, sulla base di studi clinici che hanno dimostrato la stessa efficacia della somministrazione ogni 8 ore.E' stato recentemente dimostrato che le compresse di Nelfinavir possono essere sciolte in acqua, ed essere quindi assunte come sospensione orale. Gli studi eseguiti (su volontari sani) hanno dimostrato che la biodisponibilità è equivalente, e che la sospensione appare essere meglio tollerata rispetto alla assunzione delle compresse intere.
    Proprietà farmacocinetiche Il NFV, come gli altri farmaci della classe degli IP, è in grado di bloccare il sito attivo della proteasi virali, un enzima indispensabile per la completa maturazione delle nuove particelle virali.Biodisponibilità dopo somministrazione orale: 20-80%.Emivita serica: 3,5 - 5 ore.Eliminazione: prevalentemente per via epatica.
    Effetti collaterali Disturbi gastro-intestinali: Diarrea, meteorismo, nausea, dolori addominali.Altro: Rash, incremento delle transaminasi.Altri effetti collaterali comuni a tutti gli IP.
    Interazioni Inibisce il citocromo p450.Concentrazione di NFV aumentata da: Ritonavir, Indinavir, Ketoconazolo;Concentrazione di NFV ridotta da: Rifampicina, Rifabutina, Fenobarbitale, Fenitoina, Carbamazepina;Controindicati: Terfenadina, Astemizolo, Cisapride, Triazolam, Rifampicina, Chinidina, Amiodarone.Il NFV riduce la concentrazione di Saquinavir e Indinavir.Per maggiori dettagli consulta le Tabelle delle Interazioni.
    Resistenze Il Nelfinavir è indicato nella terapia di prima linea, in quanto i ceppi resistenti al NFV mantengono una certa sensibilità nei confronti di Indinavir e Ritonavir.Vedi la Pagina delle mutazioni.
    Note Può essere utilizzato in associazione con Saquinavir in caso di fallimento di una terapia contenente un IP.Nelfinavir induce una mutazione primaria del gene della proteasi che è unica (D30N); ciò implica che una resistenza al NFV non comporta una successiva resistenza agli altri IP, suggerendo quindi un suo impiego come primo IP.
    Sito Web Nelfinavir


    Agenerase GlaxoSmithKline
    Nome farmacologico Amprenavir (APV)Foglietto illustrativo (in inglese)
    Registrazione FDA: 15 Aprile 1999EMEA: 23 Ottobre 2000SSN: 19 Gennaio 2001
    Formulazioni Capsule 50 e 150 mg; Sospensione orale 15 mg/mL.
    Posologia giornaliera nell'adulto + => 50 Kg: cps. mg 1.200 x 2 / die; sosp. orale mg 1.400 x 2 / die.< 50 Kg: cps. 20 mg/kg x 2 / die; sosp. orale 1,5 mL/kg x 2 / die.Dose con Ritonavir:600 mg AMP + 100 mg RTV due volte al giorno, oppure1.200 mg AMP + 2 mg RTV una volta al giorno.
    Modalità di assunzione Ogni 12 ore, con o senza cibo.Vanno tuttavia evitati pasti molto grassi, che riducono del 21% l'assorbimento del farmaco.
    Proprietà farmacocinetiche Come gli altri farmaci della classe degli IP, è in grado di bloccare il sito attivo della proteasi virali, un enzima indispensabile per la completa maturazione delle nuove particelle virali.Emivita: 7,1 - 10,6 ore.Viene assorbito rapidamente dopo la somministrazione orale, ma la biodisponibilità assoluta non è stata determinata.Eliminazione: prevalentemente per via epatica.
    Effetti collaterali Disturbi gastro-intestinali: diarrea, nausea, vomito (di lieve entità).Reazioni allergiche: sono stati riportati rash di lieve entità. Nell'1% dei casi sono state descritte reazioni gravi, inclusa la Sindrome di Stevens-Johnson.Altro: cefalea, parestesie periorali.Come per altri IP, l'Agenerase potrebbe provocare anemia emolitica acuta, iperglicemia e diabete mellito; dati preliminari sembrano invece indicare che non c'è un effetto clinicamente rilevante sul metabolismo lipidico.(Vedi anche le pagine sugli Eventi avversi dei farmaci ARV).A causa del rischio potenziale di tossicità dovuto alla quantità dell'eccipiente glicol-propilene contenuto nella soluzione orale di Agenerase, questo preparato è controindicato nei seguenti pazienti:- Bambini < 4 anni- Donne in gravidanza- Pazienti in terapia con Disulfiram (Antabuse, Etiltox) o Metronidazolo (Flagyl, Deflamon)La soluzione orale deve essere usata solo quando l'Agenerase capsule o altri inibitori della proteasi non possono essere impiegati.
    Interazioni Essendo un inibitore del citocromo p450 come gli altri IP, anche l'Amprenavir ha molte interazioni con vari altri farmaci che vengono metabolizzati per via epatica.Controindicati: Triazolam, Midazolam, Astemizolo, Terfenadina, Cisapride, Rifampicina, Ergotamina, Diidroergotamina, Bepridil.Agenerase può aumentare la concentrazione di vari farmaci:Rifabutina, Dapsone, Eritromicina, Itraconazolo, Sildenafil (Viagra), Alprazolam, Diazepam, Flunazepam, calcioantagonisti, farmaci che riducono il colesterolo (simvastatina e simili).Didanosina (Videx) e antiacidi vanno assunti ad almeno un'ora di distanza dall'Agenerase.Per maggiori dettagli consulta le Tabelle delle Interazioni.
    Resistenze Vedi la Pagina delle mutazioni.
    Note Le compresse di Amprenavir contengono una discreta quantità di vitamina E, per cui va evitato di assumere contemporaneamente integratori che contengano questa vitamina.L'Amprenavir può provocare reazioni allergiche crociate con i sulfamidici, per cui chi è allergico a tali farmaci deve assumere l'Amprenavir con molta cautela.
    Studi clinici L'approvazione da parte dell'FDA si è basata su studi clinici di 24 settimane, che hanno dimostrato efficacia e buona tollerabilità del farmaco.La mutazione principale associata all'impiego dell'Agenerase (mutazione I50V) non è stata osservata in pazienti resistenti agli altri IP, per cui non vi dovrebbe essere resistenza crociata con questi farmaci; tuttavia la rilevanza clinica di queste mutazioni non è ancora stata del tutto stabilita.
    Sito Web Agenerase

    Kaletra Abbott
    Nome commerciale Lopinavir/ritonavir (ABT-378)
    Formulazioni Capsule: Lopinavir 133 mg + Ritonavir 33.3 mg.Le capsule vanno conservate in frigorifero; a temperatura ambiente possono restare al massimo per due mesi.
    Posologia giornalieranell'adulto + mg 400/100 (3 cp.) x 2 / die, preferibilmente a stomaco pieno.NB: Se il Kaletra viene associato ad Efavirenz e/o a Nevirapina, allora la dose deve essere incrementata a 4 cp. x 2 / die.Nel maggio 2005 la FDA ha approvato l'impiego di Kaletra una sola volta al giorno solo nei pazienti naive (cioè mai trattati prima); la dose in questo caso è di 6 capsule prese tutte assieme.
    Registrazione FDA: Settembre 2000EMEA: Luglio 2000 avviata la richiesta di approvazione.Italia: 15 giugno 2001.
    Proprietà farmacocinetiche E' stata studiata una formulazione chimica di ABT-378 associato ad una piccola dose di Ritonavir (100 mg): questo serve ad incrementare notevolmente le caratteristiche farmacocinetiche del farmaco, rendendo possibile la somministrazione bigiornaliera (la formulazione attuale dell'ABT-378 ha infatti una emivita piuttosto breve) ed il raggiungimento di concentrazioni minime più elevate (circa 30 volte più elevate di quelle inibenti il virus wild-type).Questi vantaggi in termini farmacocinetici comportano un minor rischio di sviluppare resistenze ed una possibile attività terapeutica verso virus resistenti.Emivita del Kaletra: 5-6 ore
    Effetti collaterali Complessivamente il farmaco è risultato ben tollerato nei primi studi cinici. Gli effetti secondari più comunemente osservati sono stati:Disturbi gastrointestinali: diarrea (ca. 20% dei casi), nausea e vomito(3-19%).Altro: astenia (4-9%), cefalea (4-9%). Sono stati inoltre osservati casi di aumento di colesterolo e trigliceridi, soprattutto nei pazienti pretrattati con altri IP.(Vedi anche le pagine sugli Eventi avversi dei farmaci ARV).
    Interazioni Viene metabolizzato dal citocromo P450 attraverso una via metabolica specifica, diversa rispetto a quella degli altri IP. E' comunque un inibitore del citocromo, per cui anche questo farmaco, come gli altri IP, ha numerose interazioni con altri farmaci (vedi le Tabelle delle interazioni).
    Note Questo farmaco ha mostrato una attività antivirale in vitro circa 10-15 volte superiore rispetto a quella del Ritonavir.
    Studi clinici Studi di fase II su 100 pazienti naive (studio M97-720) e su 70 pazienti experienced (studio M97-765). I dati a 108 settimane confermano gli ottimi risultati già presentati all'ICAAC del settembre '99 a 36 settimane: nello studio sui pazienti naive il 96% dei pazienti aveva una viremia < 40 copie (81% con l'analisi intent-to-treat), mentre nello studio sugli experienced una viremia < 50 si è ottenuta nel 73% dei casi (57% con l'analisi più restrittiva). Da sottolineare il fatto che nello studio condotto sui pazienti experienced il risultato virologico ottenuto era indipendente dal tipo di IP utilizzato in precedenza, indicando quindi la mancanza di una cross-resistenza.L'evento avverso più comunemente osservato è stata la diarrea (23%); sono stati inoltre osservati casi non gravi di incremento dei trigliceridi e di alterazione degli indici epatici, che non hanno mai richiesto la sospensione della terapia.Nei due studi soltanto 3/100 e 4/70 pazienti hanno sospeso la terapia per eventi avversi, prevalentemente di tipo gastroenterico, indicando quindi una ottima tollerabilità del farmaco.Studi di fase III condotti sempre sia in pazienti naive (M98-863) che in pazienti experienced (M98-957) hanno confermato questi ottimi risultati, sia in termini di risposta virologica che di tollerabilità. Nel primo studio si è confrontato il Lopinavir con il Nelfinavir: dopo 60 settimane il Lopinavir ha dimostrato un'efficacia significativamente superiore (con l'analisi ITT 64% vs 52% di pazienti con viremia < 50). Un dato importante da sottolineare è che nei pazienti in terapia con Lopinavir che avevano > 400 copie di HIV-RNA, non è stata dimostrata nessuna delle mutazioni primarie comunemente associate a resistenza agli IP attualmente utilizzati.Il secondo studio è stato condotto su pazienti che avevano sviluppato resistenze agli IP attualmente in commercio: dopo 16 settimane il 69% e l'82% dei pazienti (trattati rispettivamente con 400 mg o 533 mg di Lopinavir + Efavirenz e 2 RTIs) avevano viremia < 400 copie (analisi intent-to-treat).Il Lopinavir viene utilizzato anche nell'ambito di studi pediatrici.
    Resistenze Negli studi clinici finora effettuati non sono state riportate mutazioni primarie per questo farmaco. Sono state associate a resistenza al Lopinavir le mutazioni 10, 20, 24, 46, 53, 54, 63, 71, 82, 84 e 90. Tuttavia è necessaria la presenza contemporanea di almeno 6 o più mutazioni per provocare resistenza al Lopinavir (vedi la Pagina delle mutazioni).Non è ancora chiaro quale possa essere la strategia terapeutica in caso di fallimento del Kaletra; due studi presentati alla 8^ CROI (febbraio 2001) hanno evidenziato la persistenza di sensibilità all'Amprenavir in alcuni pazienti che avevano sviluppato resistenza al Lopinavir.


    Telzir GlaxoSmithKline
    Nome farmacologico Fosamprenavir
    Registrazione FDA: 20 Ottobre 2003 (con il nome di Lexiva)SSN: 5 Gennaio 2005
    Formulazioni Comprese da 700 mg.Nuova formulazione dell'Amprenavir (Agenerase), caratterizzata da capsule di minori dimensioni, con un contenuto maggiore di farmaco e con una migliore biodisponibilità.
    Posologia giornaliera nell'adulto · Pazienti naive (al primo trattamento):2 cpr. due volte al giorno, oppure2 cpr. + 200 mg di Norvir una sola volta al giorno, oppure1 cpr. + 100 mg di Norvir due volte al giorno. · Pazienti già trattati con IP (non raccomandata unica somministrazione giornaliera):1 cpr. + 100 mg di Norvir due volte al giorno. · Se associato ad Efavirenz (Sustiva):1 cpr. + 100 mg di Norvir due volte al giorno, oppure2 cpr. + 300 mg di Norvir una sola volta al giorno.
    Modalità di assunzione Con o senza cibo, non ci sono variazioni significative.
    Proprietà farmacocinetiche Emivita serica: 7,7 ore.Biodisponibilità dopo somministrazione orale: non determinata.Eliminazione: prevalentemente per via epatica.Il Fosamprenavir è un inibitore/induttore del citocromo p450.
    Effetti collaterali Rash cutaneo: 19%Disturbi gastroenterici: diarrea, nausea, vomito (di lieve entità).Altro: cefalea, incremento delle transaminasi, iperglicemia, lipodistrofia e dislipidemia, possibile incremento degli episodi emorragici in pazienti emofilici.(Vedi anche le pagine sugli Eventi avversi dei farmaci ARV).


    Reyataz (Bristol-Myers Squibb)
    Nome farmacologico Atazanavir
    Descrizione Si tratta di un azapeptide, molecola diversa rispetto agli IP attualmente esistenti. Per tale motivo il profilo di resistenze in vitro appare essere differente, e quindi il farmaco risulta attivo anche verso ceppi resistenti agli altri IP. E' molto potente, con un grado di attività simile a quello del Lopinavir/r, e negli studi di fase I è apparso ben tollerato; negli animali non sono stati osservati effetti genotossici o teratogeni.
    Registrazione FDA: Giugno 2003EMEA: Marzo 2004SSN: disponibile dal Dicembre 2004
    Posologia eProprietà farmacocinetiche Compresse da 100, 150 e 200 mg.Dosi in pazienti experienced:Atazanavir 300 mg + Ritonavir 100 mg, una sola volta al giorno;Atazanavir 400 mg, una sola volta al giorno, se associato a Sustiva. L'emivita è superiore alle 24 ore e la biodisponibilità è del 57-80% dopo pasto leggero.Va assunto a stomaco pieno.
    Effetti collaterali Anche gli studi di fase II hanno confermato l'ottima tollerabilità dell'Atazanavir: l'effetto avverso principale è stato il riscontro di iperbilirubinemia indiretta, osservato nei primi due mesi di terapia. Tale effetto, simile a quello osservato in corso di terapia con Indinavir, è secondario ad una interferenza con il meccanismo di coniugazione epatica, ma tende a scomparire dopo un primo periodo di adattamento.Altri effetti collaterali:- allungamento dell'intervallo PR; in alcuni pazienti si è osservato un blocco AV di 1° grado, asintomatico;- possibile aumento del rischio di emorragia in pazienti emofilici;- iperglicemia e lipodistrofia.
    Studi clinici E' stato disegnato uno studio di fase II (AI 424-007), per stabilire la dose ottimale (200 - 400 - 500 mg/die) e per confrontarne l'efficacia verso il Nelfinavir; entrambi i farmaci sono stati somministrati in associazione con Stavudina e Didanosina. Alla 8^ CROI (Chicago, 01/01) sono stati presentati i risultati alla 48a settimana sui 322 pazienti arruolati, dove si evidenzia rispetto al NFV un pari effetto riguardo le percentuali di negativizzazione della carica virale e l'incremento dei CD4+. Inoltre non sono stati osservati incrementi significativi dei valori di trigliceridi e colesterolo, ed è risultata minore l'incidenza di diarrea (17% contro 51%).Uno studio analogo (AI 424-008) è stato presentato alla 8th European Conference on Clinical Aspects and Treatment of HIV Infection (Atene, 10/01), condotto su 467 pazienti naive: a 2 gruppi di pazienti sono stati somministrati 400 e 600 mg di Atazanavir una sola volta al giorno, e ad un terzo gruppo 1250 mg di Nelfinavir due volte al giorno, tutti associati a d4T e 3TC. I risultati dopo 48 settimane anche in questo caso hanno confermato una pari efficacia della terapia con Atazanavir (HIV-RNA < 400 copie rispettivamente nel 64, 67 e 53% dei pazienti), ma soprattutto una significativa riduzione delle alterazioni dei valori di colesterolo e trigliceridi: incremento del colesterolo nel 5, 6 e 25% dei pazienti; incremento dei trigliceridi nel 7, 8 e 50% dei pazienti. Nel 52% dei pazienti trattati con Atazanavir si è osservata iperbilirubinemia asintomatica di grado 3-4.Un largo studio, condotto su 800 pazienti naive (Studio AI 424-034) ha confronto Atazanavir con Efavirenz, entrambi in associazione con AZT/3TC. I risultati a 48 settimane hanno mostrato percentuali di pazienti con viremia < 400 nel 70% dei pazienti in Atazanavir e nel 64% dei pazienti in Efavirenz (risultati inferiori a quelli osservati in altri studi, probabilmente a causa di criteri più restrittivi nell'analisi intent-to-treat).
    Resistenze Dati importanti sul profilo di resistenze dell'Atazanavir sono stati presentati all'XI International HIV Drug Resistance Workshop (Siviglia, 2002) e alla 10a CROI (Boston, 2003). In entrambi i congressi gli studi presentati hanno evidenziato la presenza della mutazione I50L nei ceppi resistenti all'Atazanavir. Altre mutazioni associate a resistenza sono la A71V e la K65R, non correlate a resistenza agli IP attuali, e la G73S, una mutazione che contribuisce alla resistenza a Saquinavir, Indinavir e Nelfinavir (di solito nell'ambito della contemporanea presenza della mutazione L90M).
    (Boehringer Ingelheim)

    Descrizione Questo farmaco, inizialmente sviluppato dalla Pharmacia & Upjohn, nel gennaio 2000 è stato acquistato dalla Boehringer Ingelheim, che pertanto ne curerà le successive fasi di sviluppo.E' il primo di una nuova classe di inibitori delle Proteasi non-peptidici (tutti gli attuali IP sono peptidici).
    Registrazione FDA: approvato il 23 giugno 2005, con il nome commerciale di Aptivus.EMEA: approvato il 28 luglio 2005.
    Posologia eProprietà farmacocinetiche Il Tipranavir nei primi studi clinici è apparso ben tollerato; il principale effetto collaterale è stato rappresentato da disturbi gastrointestinali, principalmente da diarrea. Ciò era dovuto essenzialmente alle scarse caratteristiche farmacocinetiche della prima formulazione del farmaco, per cui era necessario un elevato numero di compresse: cp. da 150 mg da assumere alla dose di 1.500 mg 3 volte al giorno (30 compresse in tutto!).Grazie ad ulteriori sviluppi è stato possibile ottenere una nuova formulazione del Tipranavir, con compresse denominate SEDDS (Self Emulsifying Drug Delivery System); studi di fase IIb con questa formulazione hanno permesso di stabilire la dose ottimale in 500 mg due volte al giorno, in associazione con dosi booster di 200 mg di Ritonavir.
    Effetti collaterali Nei primi studi il farmaco è risultato ben tollerato, con comparsa di effetti collaterali gastrointestinali di lieve entità: diarrea (46%), nausea (27%) e vomito (17%)
    Interazioni Il Tipranavir è un induttore del citocromo p450: riduce pertanto la concentrazione di tutti gli IP, con l'eccezione del Ritonavir. Riduce inoltre del 35% la Nevirapina e del 50% l'Efavirenz. Questi effetti però non vengono osservati quando viene associato anche il Ritonavir.
    Studi clinici Alla 1st IAS Conference (Buenos Aires, Luglio 2001) è stato presentato uno studio di fase II, nel quale il Tipranavir/ ritonavir è stato somministrato in associazione ad Efavirenz e ad un nuovo RTI a pazienti naive per gli NNRTI e che avevano fallito regimi con due o più inibitori della proteasi. I risultati a 24 settimane hanno confermato la buona efficacia di questa combinazione, con il 77,8% dei pazienti che avevano HIV-RNA < 400 ed il 61,1% < 50 copie. L'incremento dei CD4 mediamente era > 100. Saranno disponibili a breve gli studi di fase III Resist 1 e Resist 2 (studi randomizzati, controllati, in aperto), che saranno importanti per stabilire in modo definitivo l'efficacia e la sicurezza di questo farmaco.
    Resistenze Il Tipranavir, verosimilmente per la sua diversa struttura molecolare, sembra essere attivo anche contro ceppi di HIV altamente resistenti agli IP attualmente presenti in commercio. In uno studio pubblicato sulla rivista AIDS (AIDS 2000; 14:1943-48), 90/105 (90%) isolati virali altamente resistenti a Indinavir, Ritonavir, Nelfinavir o Saquinavir, rimanevano completamente sensibili al Tipranavir. Inoltre, la presenza delle mutazioni 48 e 90, associate a resistenza al Saquinavir, aumentano di 2,5 volte la sensibilità al Tipranavir (NB: questi studi sono stati effettuati in vitro).

    IP in fase sperimentale

    Mozenavir (DMP-450) (Triangle Pharmaceuticals):
    Nuovo inibitore della proteasi attualmente in fase di studio I/II. Si tratta di un inibitore della proteasi non peptidico che appartiene ad una nuova classe chimica, denominata "ureasi ciclica", caratterizzata da un minor costo di produzione rispetto agli IP attuali.
    E' stato recentemente completato uno studio di fase I/II condotto su pazienti naive con tre diverse dosi di Mozenavir (750x3, 1250x2, 1250x3) confrontate con Indinavir mg 800x3, sempre in associazione con Stavudina e Lamivudina. Dopo 48 settimane i risultati virologici sono risultati paragonabili in tutti i gruppi, e non si sono manifestati effetti collaterali gravi. E' stato osservato un aumento di casi di reazioni allergiche in funzione dell'aumento di dose del Mozenavir, suggerendo quindi un effetto dose-dipendente.
    Attivo contro ceppi virali con le mutazioni D30N e L90M.
    TMC114 (Tibotec):
    Si tratta di un IP con potente attività antivirale sia verso ceppi wild-type che verso ceppi con resistenza agli attuali IP. Alla 10a CROI (Febbraio 2003, Boston) è stato presentato uno studio di fase IIa condotto su 50 pazienti con molteplici esposizioni agli IP attualmente esistenti. I pazienti erano in fallimento virologico con un regime contenente un IP: sono stati randomizzati a ricevere per 14 giorni il TMC114 al posto dell'IP in corso, con 3 diversi dosaggi (300, 600 e 900 mg) associati a 100 mg di Ritonavir come booster, oppure a proseguire la terapia in atto. Nei pazienti trattati con TMC114 si è ottenuta una riduzione dell'HIV-RNA da -0.47 a -2.5 log, con una percentuale di pazienti dal 69 al 92% che ha ottenuto una riduzione della viremia di almeno 1 log.
    La tollerabilità è stata buona, con effetti collaterali prevalentemente di tipo gastroenterico, di entità lieve (diarrea 32%, cefalea 16%); 5 pazienti hanno avuto incremento delle transaminasi di grado3/4.
    DMP-681 e DMP-684:
    Inibitori della proteasi di seconda generazione. Hanno mostrato di conservare l'attività antivirale in ceppi con le mutazioni 82, 84, e 90, e di avere una riduzione di attività di solo 3-5 volte verso ceppi con più di 3 mutazioni.
    Sono in corso studi di fase I.
    AG-1776 (Agouron):
    Inibitore delle Proteasi definito di "seconda generazione", che ha mostrato in vitro di conservare efficacia su ceppi virali resistenti agli altri IP. Questi dati preliminari devono tuttavia essere confermati da successive sperimentazioni in vivo, anche se sembrano comunque essere molto promettenti.
    Ha una azione sinergica con Indinavir, Ritonavir e Nelfinavir. Sono in corso studi di fase I/II.
    RO 033-4649 (Roche - ViroLogic)
    Nuovo Inibitore della Proteasi, presentato alla 10a CROI (Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections, Febbraio 2003, Boston), disegnato sia per essere attivo nei confronti di ceppi resistenti agli attuali IP, sia per avere delle favorevoli caratteristiche farmacocinetiche.
    In vitro ha mostrato attività antivirale sia verso ceppi wild-type che verso numerosi ceppi virali con resistenze agli attuali IP; non ha invece dimostrato attività nei confronti di proteasi cellulari.
    Risulta ben assorbito dopo somministrazione orale, con un assorbimento di circa 10 volte rispetto al Saquinavir; inoltre non è un induttore del citocromo p450, e quindi non ha interazioni sfaveroveli con altri farmaci.
    Sono recentemente iniziati gli studi di fase I.




  4. .
    I Farmaci per la profilassi e la terapia delle Infezioni Opportunistiche
    CATEGORIA ANTIBIOTICI
    Azitromicina Antibiotico (Macrolide)
    Nome commerciale Azitrocin (Roerig)Zitromax (Pfizer)
    Fascia eformulazione Fascia ACompresse 500 - 600 mg, sciroppo.
    Indicazioni Viene prevalentemente utilizzato nelle infezioni delle alte e basse vie respiratorie. Efficace anche nella terapia e nella profilassi delle infezioni da Micobatteri atipici nei soggetti con infezione da HIV. Ha attività anche verso il Toxoplasma.
    Posologia 500 mg al giorno per 3 gg nelle infezioni delle vie respiratorie;600 mg x 2 alla settimana nella profilassi delle micobatteriosi atipiche.Lo sciroppo va assunto a digiuno.
    Effetti collaterali Disturbi gastrointestinali, nausea, dolori addominali.
    Note Come tutti i Macrolidi, Azitromicina agisce mediante inibizione della sintesi proteica batterica a livello ribosomiale. Ha attività antibatterica batteriostatica.E' caratterizzato da una emivita molto lunga; nelle infezioni non gravi sono sufficienti 3 compresse per fornire una copertura di 10 giorni.Deve essere assunto ad almeno 2 ore di distanza dal ddI e dagli antiacidi.


    Claritromicina Antibiotico (Macrolide)
    Nome commerciale Klacid (Abbott)Macladin (Guidotti)Veclam (Malesci)
    Fascia eformulazione Fascia ACompresse 250 e 500 mg; sciroppo.
    Indicazioni Viene prevalentemente utilizzato nelle infezioni delle vie respiratorie, nelle otiti, sinusiti e faringo-tonsilliti.. E' risultato efficace nella terapia delle infezioni da Micobatteri atipici nei soggetti con infezione da HIV.
    Posologia Infezioni "comuni": 250-500 mg x 2 al giorno per 7-10 giorni.Per le Micobatteriosi: 500 mg x 2
    Effetti collaterali Disturbi gastrointestinali, alterazioni del gusto, cefalea. Alterazione delle transaminasi.
    Note Come tutti i Macrolidi, Claritromicina agisce mediante inibizione della sintesi proteica batterica a livello ribosomiale. Ha attività antibatterica batteriostatica.

    Ciprofloxacina Antibiotico (Fluorochinolone)
    Nome commerciale Ciproxin (Bayer)Flociprin (Sigma Tau)
    Fascia eformulazione Fascia ACompresse 250-500-750 mg; sciroppo; soluzione endovenosa 200 mg.
    Indicazioni Antibiotico a largo spettro, utilizzato prevalentemente per le infezioni delle vie respiratorie e delle vie urinarie. Nei pazienti con Aids viene utilizzato per la terapie delle infezioni da Micobatteri atipici.
    Posologia 250-500 mg x 2 al giorno
    Effetti collaterali Solitamente ben tollerato. Può provocare disturbi gastrointestinali, rash.
    Note Come tutti i Fluorochinoloni, Ciprofloxacina agisce sulla sintesi del DNA batterico inibendo la DNA-girasi batterica. Ha attività battericida.

    Clindamicina Antibiotico (Lincosamide)
    Nome commerciale Dalacin (Pharmacia & Upjohn)
    Fascia eformulazione Fascia A: fiale endovena 600 mg; compresse 150 mg;Fascia C: formulazioni topiche.
    Indicazioni Utilizzato di seconda scelta nella terapia della PCP e della Toxoplasmosi cerebrale. E' molto efficace nelle infezioni provocate da batteri anaerobi.
    Posologia mg 600 x 3-4
    Effetti collaterali Diarrea; l'uso prolungato favorisce l'insorgenza della colite pseudomembranosa provocata dal Clostridium difficile.
    Note Agisce mediante inibizione della sintesi proteica batterica a livello ribosomiale. Ha attività antibatterica

    Cotrimoxazolo Antibiotico
    Nome commerciale Bactrim (Roche)
    Fascia eformulazione Fascia ACompresse 400 e 800 mg (di sulfamidico); compresse solubili 800 mg;fiale endovena 400 mg
    Indicazioni Utilizzato nella terapia e nella profilassi della PCP e della Toxoplasmosi cerebrale (NTX).
    Posologia Terapia della PCP: 70-80 mg/kg/die e.v. per 21 giorni, poi mantenimento per os con mg 800 x 2 /die.Terapia della NTX: 40-50 mg/kg/die e.v. per 3-4 settimane, poi mantenimento per os con mg 800 x 2 /die.Profilassi: mg 800 al giorno (= 1 cp. di Bactrim Forte)
    Effetti collaterali Tossicità midollare (lecopenia, anemia); disturbi gastroenterici; può provcare reazioni allergiche anche molto gravi.
    Note E' composto da due distinte molecole: il Sulfametoxazolo ed il Trimethoprim.Agisce bloccando la sintesi dei folati; ha una attività antibatterica battericida, anche se i singoli componenti hanno attività batteriostatica.

    Rifabutina Antibiotico (Rifamicina)
    Nome commerciale Mycobutin (Pharmacia & Upjohn)
    Fascia eformulazione Fascia ACompresse 150 mg.
    Indicazioni Farmaco utilizzato nella terapia delle Micobatteriosi atipiche. Viene impiegato in queste terapie in associazione ad altri farmaci antitubercolari, in alternativa alla Rifampicina.
    Posologia 300 mg al giorno in unica somministrazione.
    Effetti collaterali Interagisce con molti altri farmaci dei quali solitamente aumenta l'eliminazione.Disturbi gastrointestinali, tossicità epatica, rash, neutropenia.
    Note Agisce mediante blocco della sintesi di RNA per inibizione della RNA-Polimerasi batterica DNA-dipendente. Ha attività antibatterica battericida, anche intracellulare



    Rifampicina Antibiotico (Rifamicina)
    Nome commerciale Rifadin (Lepetit)
    Fascia eformulazione Fascia ACompresse 300-450-600 mg, sciroppo, fiale endovena 600 mg.La Rifampicina è presente in commercio anche in combinazione con altri farmaci (es: Rifinah cpr.: Rifampicina 300 mg + Isoniazide 150 mg, fascia C).
    Indicazioni Farmaco di scelta nella terapia della Tubercolosi e delle Micobatteriosi atipiche. Viene impiegato in queste terapie in associazione ad altri farmaci antitubercolari.
    Posologia 600-900 mg al giorno in unica somministrazione.
    Effetti collaterali Interagisce con molti altri farmaci dei quali solitamente aumenta l'eliminazione.Disturbi gastrointestinali, tossicità epatica, rash.
    Note Agisce mediante blocco della sintesi di RNA per inibizione della RNA-Polimerasi batterica DNA-dipendente. Ha attività antibatterica battericida, anche intracellulare



    Atovaquone Antiprotozoario
    Nome commerciale Wellvone (GlaxoWellcome)
    Fascia eformulazione Fascia HSciroppo 750 mg/5 ml.
    Indicazioni Indicato nei pazienti intolleranti al Cotrimoxazolo per la terapia della Polmonite da Pneumocystis carinii (PCP) e della Toxoplasmosi cerebrale e per la profilassi della PCP.
    Posologia Terapia della PCP: mg 750x2 per 21 giorni.Profilassi della PCP: mg 1500 una sola volta al giorno.Va assunto con il cibo; un pasto ricco di grassi aumenta la biodisponibilità del farmaco di circa 3 volte.
    Effetti collaterali Disturbi gastrointestinali, rash, cefalea, aumento delle transaminasi, pancreatiti, piastrinopenia.
    Note

    Pentamidina Antiprotozoario
    Nome commerciale Pentacarinat (Rhone-Poulenc Rorer)
    Fascia eformulazione Fascia A.Fiale endovena, Aerosol 300 mg:
    Indicazioni Utilizzato per aerosol nella profilassi della PCP in pazienti intolleranti al Cotrimoxazolo.La formulazione e.v. viene utilizzata come ultima scelta nella terapia della PCP; il suo utilizzo è limitato dalla elevata tossicità.
    Posologia Profilassi primaria: 1 aerosol ogni 4 settimane;Profilassi secondaria: 1 aerosol ogni 2 settimane.
    Effetti collaterali Fiale e.v.: Diabete, pancreatite, ipotensione, aritmie, tossicità renale e midollare.Aerosol: tosse, broncospasmo, disturbi gastrointestinali, alterazioni del gusto.
    Note L'aerosol va effettuato con gli appositi nebulizzatori ultrasonici.


    Amphotericina B Antifungino
    Nome commerciale Fungizone (Bristoll Myers-Squibb)
    Fascia eformulazione Fascia H (uso ospedaliero);è disponibile solo nella formulazione endovenosa.
    Indicazioni Farmaco molto potente, utilizzato prevalentemente nella cura di alcune gravi infezioni fungine profonde che possono colpire pazienti immunodepressi (es: Criptococcosi, Candidosi, Aspergillosi).
    Posologia 3-5 mg/Kg. La dose piena va raggiunta in modo graudale.
    Effetti collaterali Precoci: brividi, febbre,nausea,vomito,cefalea,tachicardia, collasso cardiocircolatorio, tromboflebiti;Tardivi: grave danno renale tubulare, ipopotassemia, ipomagnesemia, leucopenia, anemia e trombocitopenia.
    Note Nella flebo di infusione viene solitamente aggiunto un antipiretico.


    Amphotericina B liposomiale Antifungino
    Nome commerciale Abelcet (Wyeth Lederle): Molecole di Amphotericina B in complessi lipidici.AmBisome (Nexstar): Molecole di Amphotericina B incorporate in liposomi.
    Fascia eformulazione Fascia H (uso ospedaliero);disponibile solo nella formulazione endovenosa.
    Proprietà farmacocinetiche Nuove formulazioni lipidiche dell'Amphotericina B, caratterizzate da differenti proprietà farmacocinetiche.Presentano una migliore tollerabilità ed una minore nefrotossicità, permettendo così anche la somministrazione di dosi più alte di principio attivo.
    Indicazioni Ha le stesse indicazioni della Amphotericina B tradizionale (Fungizone), ed è indicata quando vi sia intolleranza a questo farmaco. E' di seconda scelta rispetto al Fungizone in quanto il costo è molto più elevato.
    Posologia Abelcet: 5 mg/Kg.AmBisome: 3-5 mg/Kg.
    Effetti collaterali Rispetto al Fungizone questi preparati hanno una minore tossicità renale ed una migliore tollerabilità.
    Note Nella flebo di infusione viene solitamente aggiunto un antipiretico.
  5. .
    La probabilità che dopo l'ingresso del virus nell'organismo l'infezione si instauri effettivamente dipende principalmente da due fattori: la carica infettante, cioè il numero di particelle virali penetrate (più la carica virale è alta maggiore è il rischio di infezione), ed il numero di cellule recettive (cioè suscettibili di essere infettate) presenti nella sede di ingresso del virus (Figura 1).


    Come detto in precedenza, l'HIV è in grado di infettare le cellule che presentano sulla loro superficie il recettore CD4; molti tipi di cellule dell'organismo umano possiedono questo recettore, tuttavia il bersaglio principale del virus è rappresentato dal linfocita T Helper (o linfocita CD4+). E' stato inoltre dimostrato che l'HIV, per poter penetrare in una cellula, oltre al recettore CD4 necessita anche della presenza di altre strutture sulla superficie cellulare, denominate corecettori, il principale dei quali è denominato CCR5 (1). questi sono dei recettori per delle sostanze denominate chemochine, normalmente prodotte da alcune cellule del sistema immunitario. Alcuni studi recenti hanno dimostrato che persone con un difetto genetico omozigote (completo) per il quale non viene prodotto il recettore CCR5 sono resistenti all'infezione, e che persone con un difetto eterozigote (parziale) possono essere infettate dall'HIV ma hanno una progressione molto lenta dell'infezione (2). Altri studi hanno mostrato invece che persone con un'altra variante genetica, per cui producono molto più CCR5, hanno una progressione più rapida dell'infezione.
    Il linfocita CD4 costituisce il cardine principale di tutto il sistema immunitario, essendo in grado di regolare, come un direttore d'orchestra, l'attività di tutte le altre cellule responsabili della difesa immunitaria dell'organismo. Altre cellule che possono essere infettate dal virus sono i monociti, un tipo di globuli bianchi, ed i macrofagi, cellule di difesa presenti nei tessuti. Una volta che l'infezione si è stabilita, il virus entra nel torrente circolatorio e dalla sede di ingresso si diffonde a tutto l'organismo, localizzandosi principalmente negli organi e nei tessuti maggiormente popolati da cellule recettive, quali linfonodi, milza, fegato e midollo osseo (organi del sistema emo-linfopoietico). In queste sedi il virus è in grado di stabilirsi e di rimanervi a lungo in fase di latenza, oppure di replicarsi in modo continuo; i linfonodi in particolare rappresentano una delle principali sedi di replicazione dell'HIV durante la fase di latenza clinica (cioè nel periodo in cui l'infezione non dà nessun segno di sé).
    Nel corso dell'infezione si stabiliscono quindi due diversi "compartimenti virologici" (Figura 2), tra i quali vi è però una comunicazione continua:


    - compartimento attivo, costituito dal virus libero nel sangue e da quello contenuto nei linfociti e monociti, dove il virus è attivamente replicativo ed è in grado di provocare danno al sistema immunitario;
    - compartimento di latenza (reservoirs), costituito da virus che non si replica attivamente, ma che resta in fase latente in alcuni distretti dell'organismo. Questi compartimenti di riserva, che si formano fin dalle primissime fasi dell'infezione, sono rappresentati da alcuni organi, quali cervello e gonadi (dove ci sono barriere anatomiche che impediscono la libera circolazione delle cellule e dei farmaci, permettendo così la creazione di condizioni particolarmente favorevoli per la persistenza del virus), e soprattutto da alcuni compartimenti cellulari:
    1) le cellule follicolari dendritiche dei linfonodi (FDC), che sono in grado di trattenere sulla loro superficie esterna particelle virali che si possono mantenere infettive per lungo tempo. Queste cellule hanno comunque una emivita di circa due settimane, e quindi abbastanza breve (12 r).
    2) i macrofagi infettati, i quali non vengono uccisi dal virus, il quale può pertanto continuare a replicarsi. L'emivita dei macrofagi in soggetti non infetti è di circa 15 giorni.
    3) i T linfociti CD4+ di memoria, che costituiscono probabilmente il più importante dei compartimenti cellulari di riserva. In queste cellule latenti il virus non è in grado di replicarsi, ma resta sempre presente con una copia del proprio genoma integrato nel DNA della cellula. I linfociti CD4+ di memoria hanno una vita molto lunga, dato che la loro funzione biologica è proprio quella di garantire all'organismo una protezione immunitaria nei confronti di antigeni incontrati in precedenza; queste cellule, quando nel corso della loro vita incontrano l'antigene per il quale sono "programmate", ritornano alla fase attiva, durante la quale possono permettere al virus di replicarsi. In seguito, dopo diversi cicli di replicazione, molte di queste cellule andranno incontro a morte, mentre altre ritorneranno alla fase di latenza, contribuendo così al mantenimento di una stabile riserva virale. Questo serbatoio virale sarebbe quindi il principale responsabile della persistenza dell'infezione anche in corso di una efficace terapia antiretrovirale, rappresentando in questo modo il più importante ostacolo alla eradicazione dell'infezione. E' stato infatti dimostrato che queste cellule di memoria hanno un tempo di dimezzamento di 44 mesi, il che significa che occorrerebbero circa 73 anni prima di riuscire ad eliminarle tutte (3).

  6. .
    L'HIV, come tutti i virus, è incapace di replicarsi autonomamente, in quanto necessita dell'apparato metabolico di una cellula; il ciclo replicativo dell'HIV viene solitamente suddiviso in varie fasi

    1. Adesione per poter penetrare nella cellula bersaglio l'HIV deve prima di tutto legarsi ad essa; il virus si può legare a cellule che abbiano sulla loro superficie uno specifico recettore, denominato CD4, al quale aderisce tramite una specifica porzione dell'envelope, costituita da due glicoproteine: la gp120, più esterna, e la gp41, situata più internamente. Il primo legame avviene quindi tra la gp120 ed il recettore CD4; è necessario però anche un secondo legame, che avviene tra la gp120 ed un corecettore presente sulla superficie della cellula (il principale di questi corecettori è stato denominato CCR5; si è visto che persone affette da una difetto genetico di questo corecettore sono in grado di resistere all'infezione)

    2. Fusione una volta avvenuto anche questo secondo legame con il corecettore, la gp120 subisce una variazione della propria struttura ed una modifica della posizione, permettendo così l'esposizione della gp 41; questa è in grado di fondersi con la membrana cellulare, aprendo la porta all'ingresso del virus nella cellula.

    Penetrazione nella cellula avvenuta la fusione il virus penetra nella cellula. Soltanto il core virale entra però all'interno della cellula, mentre il rivestimento glicoproteico dell'envelope rimane all'esterno della cellula

    3. Uncoating una volta penetrato nella cellula, il core perde il proprio rivestimento proteico che viene degradato in un processo chiamato uncoating (svestimento); in questo modo si libera la parte centrale del virus che contiene il genoma ad RNA e gli enzimi virali.

    4. Trascrizione inversa è il processo con il quale le informazioni genetiche del virus contenute in una singola catena di RNA vengono copiate in una doppia catena di DNA. Questo processo, che avviene nel citoplasma della cellula nelle prime ore successive all'infezione, necessita dell'intervento di uno specifico enzima virale, la transcriptasi inversa. La trascrizione inversa si svolge in tre fasi:
    a) sintesi di una catena di DNA complementare all'RNA virale;
    degradazione della catena di RNA originaria;
    c) costruzione della seconda catena di DNA complementare alla prima.
    Il risultato è quello di ottenere un DNA a doppia catena contenente tutte le informazioni genetiche che erano presenti nel genoma originario ad RNA. Questa nuova molecola di DNA virale prende il nome di Provirus.
    5. Integrazione il Provirus viene trasportato nel nucleo della cellula. In questa sede, grazie all'intervento di un altro enzima virale, l'integrasi, viene inserito nel genoma cellulare, dove rimane per tutta la vita della cellula (l'unico modo per eliminare il Provirus è quello di uccidere la cellula). A questo punto l'HIV, sotto forma di Provirus, può rimanere in fase di latenza anche per lunghi periodi di tempo, duplicandosi solo con la replicazione della cellula stessa.

    6. Trascrizione del Provirus ad un certo momento il virus può attivarsi: in questo caso il DNA virale "ordina" alla cellula la produzione di propri componenti, quali le proteine strutturali, gli enzimi e l'RNA genomico.il Provirus, come il resto del cromosoma della cellula, è in grado di utilizzare l'RNA polimerasi cellulare per trascrivere il proprio DNA in RNA. Completata la trascrizione, il nuovo RNA virale esce dal nucleo della cellula e viene trasportato nel citoplasma.

    In questa sede l'intervento dei ribosomi cellulari porta alla sintesi delle nuove proteine virali

    7. Intervento della Proteasi subito dopo la loro "costruzione" le proteine virali non sono ancora in grado di funzionare adeguatamente; è necessario l'intervento di un altro enzima virale, la proteasi, il quale agisce modificando la struttura delle proteine in modo da renderle perfettamente funzionanti: si formano così gli enzimi e le proteine strutturali del virus.

    8. Assemblaggio i componenti virali neoprodotti (proteine e genoma) vengono quindi trasportati alla periferia della cellula dove vengono assemblati tra loro dando origine al core del nuovo virus .

    9. Gemmazione si chiama così il processo di fuoriuscita delle nuove particelle virali dalla cellula infetta: il core del nuovo virus si avvicina alla membrana cellulare e la attraversa per fuoriuscire dalla cellula stessa; durante questo passaggio viene rivestito dell'involucro glicolipidico, l'envelope (Figura 5). A questo punto la nuova particella virale (virione) è completata, ed è così in grado di andare ad infettare un'altra cellula bersaglio e di dare inizio ad un nuovo ciclo replicativo.


  7. .
    Le origini dell'HIV

    Sebbene varie ipotesi siano state fatte nel corso degli ultimi 15 anni, è ormai chiaro che l'HIV si è formato attraverso un processo di evoluzione naturale. La teoria che ha trovato maggiori consensi circa l'origine dell'HIV sostiene infatti che questo virus sia derivato da mutazioni genetiche di un virus che colpisce alcune specie di scimpanzé africani, il SIV (Scimmian Immunodeficiency Virus); tramite studi di biologia molecolare è stato possibile stabilire una relazione fra l'HIV ed il SIV, identificando una omologia genetica del 98% tra questi due virus, ed arrivando a costruire un vero e proprio albero genealogico virale.
    L'infezione da HIV sarebbe pertanto una zoonosi, cioè una infezione trasmessa all'uomo da altre specie animali: l'HIV sarebbe migrato dal serbatoio dei primati a quello umano probabilmente con la cacciagione oppure tramite riti tribali che comportavano il contatto con il sangue di questi animali. Il SIV sarebbe poi mutato nell'HIV nel corso di molti anni attraverso successive variazioni genetiche. Tale ipotesi è stata recentemente confermata dal lavoro di un gruppo di ricercatori della University of Alabama di Birmingham, presentata alla 6a Conferenza sui Retrovirus e sulle Infezioni Opportunistiche tenutasi a Chicago nel febbraio 1999 (1), dove una particolare specie di scimpanzé, il Pan troglodytes troglodytes (Figura 1), è stata riconosciuta quale più probabile sorgente dell'infezione per l'uomo.
    L'HIV sarebbe quindi verosimilmente esistito per lungo tempo in piccole comunità tribali dell'Africa. L'urbanizzazione, soprattutto durante il colonialismo, ha portato a grandi spostamenti di persone e all'acquisizione di costumi più liberi, con conseguente aumento degli scambi sessuali, dovuti anche alla prostituzione. Questi movimenti hanno favorito la diffusione dell'HIV, creando così una "base" di individui infetti, sufficiente alla futura espansione dell'infezione. In seguito, vari fattori quali i contatti con l'Occidente, l'uso di siringhe ipodermiche non sterili per le campagne di vaccinazione, l'impiego di emotrasfusioni nei casi di malaria, hanno favorito la diffusione dell'HIV. Nell'Occidente, libertà sessuale e tossicodipendenza hanno poi originato l'epidemia che abbiamo conosciuto negli anni '80 e '90.
    Un articolo pubblicato sulla rivista Nature dal gruppo di David Ho (2) (direttore del Aaron Diamond AIDS Research Center di New York), ha riportato la scoperta di tracce del genoma dell'HIV in un campione di sangue appartenente ad un uomo vissuto a Kinshasa (Congo) e deceduto nel 1959. Tramite analisi molecolari di questo virus, confrontato con altri ceppi virali isolati più recentemente, è stato possibile stimare l'origine dell'HIV prima del 1940, ipotizzando quindi che la trasmissione del virus dallo scimpanzé all'uomo sarebbe venuta per la prima volta circa 60 anni fa.
    In un altro lavoro, recentemente pubblicato sulla rivista Science (3), l'analisi di sequenze genetiche del virus, elaborate con sofisticati modelli statistici e con l'ausilio di supercomputers, ha permesso di stimare che il ceppo originario dell'HIV risalga fin dal 1931.



    Caratteristiche del virus

    L'HIV è un virus con genoma ad RNA appartenente alla famiglia dei Retrovirus, genere Lentivirus. Attualmente se ne conoscono due tipi: HIV-1, diffuso in tutto il mondo (quello che abitualmente conosciamo) e HIV-2, presente solo in alcuni Paesi africani e meno virulento del tipo 1.
    Come molti altri tipi di virus, l'HIV è composto schematicamente da tre parti

    1. Envelope è il rivestimento esterno, formato da una membrana lipidica e da "proiezioni" proteiche, costituite da due glicoproteine denominate gp120 e gp41: la gp41 forma la base di queste proiezioni, mentre la gp120 forma la parte più esterna. Queste strutture sono importanti per i meccanismi che permettono al virus di legarsi alle cellule bersaglio.

    2. Matrice: strato proteico situato all'interno dell'envelope, che circonda la parte centrale del virus. Contribuisce alla stabilità strutturale della particella virale.

    3. Core circondato dalla matrice, il core contiene le parti vitali del virus: il materiale genetico, costituito da due catene di RNA, e gli enzimi fondamentali per i processi di replicazione virale, quali la transcriptasi inversa (p51), l'integrasi (p32) e la proteasi (p11). L'RNA contiene tre geni principali che codificano la sintesi di importanti componenti strutturali e funzionali del virus
    - env: codifica la produzione della glicoproteina gp160, la quale poi si scinde a formare la glicoproteina di superficie gp120 e la glicoproteina transmembrana gp41, entrambe presenti nell'envelope;
    - pol: codifica la sintesi degli enzimi transcriptasi inversa, integrasi e proteasi;
    - gag: codifica la sintesi della proteina nucleocapsidica p24.
    Sono poi presenti altri geni, tat, nef, rev, ecc., responsabili della regolazione delle diverse fasi del ciclo replicativo del virus.

  8. .
    Test Anticorpali

    Per l'identificazione dell'infezione da HIV sono disponibili varie metodiche, basate sulla identificazione degli anticorpi prodotti dal sistema immunitario contro l'HIV (metodiche sierologiche) oppure sulla ricerca di antigeni e molecole del virus stesso (metodiche virologiche).
    Ai fini della diagnosi di infezione attualmente vengono utilizzati il test ELISA ed il test Western-Blot:

    Test ImmunoEnzimatico (ELISA)
    E' la metodica utilizzata per il test di screening, in quanto di facile esecuzione e di costo limitato. Questo test ricerca gli anticorpi prodotti contro alcuni antigeni virali, in particolare gp 41 e gp120, che dopo una prima infezione restano nell'organismo per tutta la vita. Il test ha una sensibilità di oltre il 95%, ma in alcuni casi si possono avere delle risposte errate:
    - falsi positivi: il test risulta positivo in assenza di infezione. Può succedere in persone con malattie che alterano la funzione del sistema immunitario portando alla produzione di anticorpi anomali (es: leucemie, linfomi, malattie autoimmuni, gravi epatopatie, ecc.);
    - falsi negativi: il test risulta negativo anche se l'infezione è presente. Può succedere in persone che si sono infettate molto recentemente, ma nelle quali non si sono ancora formati gli anticorpi che reagiscono con il test; questo avviene solitamente se il test è fatto troppo presto dopo il contagio, e questo intervallo di tempo prende il nome di periodo finestra (vedi Quadri clinici).
    Per questi motivi un test negativo va sempre ripetuto fino ad almeno 3 mesi dopo un evento a rischio di contagio, ed un test positivo richiede sempre l'esecuzione di un altro test di conferma.

    Western Blot (WB)
    E' un test dotato di maggiore specificità e sensibilità, utilizzato per confermare la positività di un test ELISA. Questa metodica permette di evidenziare la presenza di anticorpi diretti contro le maggiori proteine virali: il test viene definito positivo quando sono presenti almeno 2 degli anticorpi principali; se il test risulta dubbio o indeterminato va ripetuto dopo alcuni mesi. Nella Figura 1 è schematizzato l'algoritmo diagnostico impiegato per la diagnosi di infezione da HIV.


    Test Virologici
    Vi sono poi metodiche basate sulla ricerca di antigeni o componenti virali, che vengono solitamente utilizzate non a fini diagnostici ma per il monitoraggio dell'andamento dell'infezione, in particolare in corso di terapia antiretrovirale:
    Carica Virale (HIV-RNA)
    Consente di ricercare molecole di RNA virale, la cui quantità nel sangue è direttamente proporzionale al grado di attività replicativa del virus. La viremia viene espressa in numero di copie di HIV-RNA per ml; ci sono vari tipi di test che possono essere utilizzati per la determinazione della viremia:
    Q-PCR (Quantitative Polymerase Chain Reaction): noto con il nome di Amplicore Monitor Test (Roche), è la metodica più diffusa, ed ha un range di sensibilità tra 300 e 1.000.000 di copie; è stato inoltre sviluppato, sempre dalla Roche, un test definito UltraSensitive, in quanto arriva a misurare fino a 20 copie/ml;
    bDNA (branched-chain DNA): sviluppato dalla Chiron, ha una sensibilità che varia dalle 50 alle 500.000 copie;
    NASBA (Nucleid Acid Sequence-Based Amplification): sviluppato dalla Organon Teknika, è il test solitamente meno utilizzato, ed ha una soglia inferiore di 80 copie.
    Nella pratica clinica questo test viene oggi impiegato principalmente per due scopi: la stadiazione dell'infezione ed il monitoraggio della risposta alla terapia antiretrovirale. Viene anche utilizzato per la diagnosi precoce di infezione in particolari situazioni, quali le esposizioni accidentali negli operatori sanitari e la trasmissione materno-fetale.

    Antigenemia p24
    La proteina p24 è un antigene del core virale, e la sua presenza nel sangue indica uno stato di attiva replicazione del virus. La positività dell'antigenemia p24 è più frequente nel periodo successivo al contagio e nelle fasi più avanzate della malattia. Questo test attualmente è integrato nei test definiti di 4° generazione che oltre alla ricerca di anticorpi ricercano appunto la P24, ma è superato per sensibilità dalla ricerca dell'RNA virale che dato l'alto costo difficilmente viene eseguito

    Isolamento virale
    E' la metodica più importante per dimostrare la presenza di una infezione virale, ma nella pratica clinica non viene utilizzata a causa del costo elevato e delle difficoltà operative che richiedono la presenza di un laboratorio molto specializzato. L'isolamento virale oggi viene impiegato essenzialmente a fini di ricerca.

    Edited by artois - 11/9/2013, 18:36
  9. .
    Il virus NON si trasmette attraverso:

    strette di mano,
    abbracci,
    vestiti
    baci
    carezze
    saliva
    morsi ( a meno che non siete cannibili :unsure: )
    graffi,
    tosse,
    lacrime,
    sudore,
    muco,
    urina e feci
    bicchieri, posate, piatti,
    asciugamani e lenzuola
    punture di insetti.

    Il virus non si trasmette frequentando: palestre, piscine, docce, saune e gabinetti scuole, asilo e luoghi di lavoro ristoranti, bar, cinema e locali pubblici mezzi di trasporto.

    Edited by artois - 22/11/2007, 19:05
  10. .
    ntroduzione
    L'HIV è stato isolato in tutti i tessuti e liquidi biologici di un soggetto sieropositivo (Tabella 1). Tuttavia la semplice presenza del virus in un materiale biologico non significa che il contatto con quello stesso materiale rappresenti un evento efficace per la trasmissione dell'infezione. Perchè ciò avvenga è infatti importante che si verifichino due condizioni (Figura 1):

    - una idonea via di trasmissione
    - una adeguata quantità di virus
    Una quantità di virus (carica virale) sufficiente a trasmettere l'infezione si può ritrovare solo in determinati liquidi biologici, quali sangue, liquido seminale, secreto vaginale e, in percentuale inferiore, nel latte materno (Figura 2).

    Altri materiali sono considerati a rischio solo se contaminati da sangue, in quanto la concentrazione di HIV è troppo bassa perchè la trasmissione possa avvenire.
    Pertanto l'HIV può essere trasmesso da persona a persona esclusivamente attraverso tre modalità:
    · Contatto con sangue infetto (trasfusioni, scambio di siringhe, contaminazione con aghi infetti);
    · Rapporti sessuali
    · Trasmissione verticale


    Un soggetto che ha contratto l'infezione in un modo, per esempio tramite contatto con sangue infetto, può trasmetterla per altra via, per esempio mediante un rapporto sessuale (Figura 3).



    Trasmissione sessuale

    La trasmissione sessuale dell'HIV rappresenta la modalità di contagio prevalente nel mondo (Figura 4), ed è il fattore maggiormente responsabile della rapida espansione dell'epidemia in Paesi asiatici quali l'India e la Tailandia.







    La probabilità di trasmissione dell'HIV per vari tipi di attività sessuali dopo un singolo contatto è stata calcolata utilizzando dati epidemiologici e modelli matematici (Figura 5).

    L'efficacia della trasmissione da uomo a donna, o da uomo a uomo, è più efficace che non da donna a uomo (Figura 6).

    Per quanto riguarda il tipo di attività sessuale, il rapporto anale è quello correlato al maggior rischio, mentre il rapporto orale sembra avere un rischio inferiore (Figura 7);
    Rischio Rapporto anale non protettoRapporto genitale non protettoRapporto oro-genitale non protettoRapporto sessuale protettoRapporto oro-genitale protettoPettingBacio profondoMassaggi
    Fig. 7 La probabilità di contagio varia notevolmente in base al tipo di rapporto.

    a questo proposito, mentre sembra essere praticamente privo di rischio il rapporto orale con donna recettiva, al contrario sono stati segnalati casi di trasmissione dell'HIV mediante rapporto orale con uomo recettivo (6,6% dei casi in coorte americana di soggetti omosessuali) (1).
    E' comunque difficile stabilire con certezza la percentuale di rischio di contagio in ogni singolo caso; infatti ci sono persone che si sono contagiate dopo un singolo rapporto, mentre altre non hanno contratto l'infezione anche dopo anni di rapporti con un partner sieropositivo.
    Ci sono comunque molti fattori che influenzano la possibilità che si verifichi effettivamente la trasmissione del virus (Tabella 2):
    · Fattori comportamentali:
    - Numero di partners diversi
    - Rapporti con persone ad alto rischio (prostitute, tossicodipendenti)
    - Utilizzo del profilattico
    - Tipo di rapporto
    - Condizioni psichiche: l'utilizzo di droghe o alcolici può infatti compromettere la capacità di giudizio, e quindi la consapevolezza di utilizzare adeguati strumenti di prevenzione in caso di rapporti a rischio.
    · Concomitante presenza di malattie sessualmente trasmesse:
    La presenza di altre malattie che interessano gli organi genitali, quali per esempio condilomi, Herpes, lesioni ulcerative, ecc., favoriscono la trasmissione dell'HIV, per diversi motivi:
    - le lesioni sulla cute e sulle mucose costituiscono una comoda porta d'ingresso per il virus;
    - nelle zone infiammate c'è una elevata concentrazione di cellule bersaglio del virus, quali linfociti, monociti e macrofagi, per cui il virus trova subito un terreno ideale per la sua moltiplicazione;
    - i soggetti sieropositivi risultano maggiormente infettanti, in quanto nelle loro secrezioni sono presenti un maggior numero di particelle virali.
    · Fattori legati al singolo individuo:
    - Infettività: non tutti i soggetti sieropositivi sono infettanti allo stesso modo; la possibilità di trasmettere l'infezione infatti dipende anche dallo stadio dell'infezione e dalla quantità di virus presente nel sangue e nelle secrezioni genitali. In particolare la carica virale è solitamente più elevata nel periodo immediatamente successivo al contagio e nelle fasi più avanzate della malattia, ed è stato ampiamente dimostrato che l'infettività aumenta parallelamente all'incremento della carica virale
    L'infettività può inoltre variare in relazione alla terapia antiretrovirale: una riduzione della replicazione virale indotta dalla terapia riduce le probabilità di trasmissione del virus. In uno studio (2) sono state osservate per un periodo di circa 3 anni 415 coppie "discordanti" (cioè con solo uno dei due partner sieropositivo); la trasmissione dell'infezione si è verificata in 90/415 coppie (incidenza: 11.8% anni-persona), e si è potuto osservare che il contagio avveniva raramente nelle coppie dove il partner sieropositivo aveva una carica virale < 1500 copie. Un altro studio condotto in modo simile ha calcolato che se la carica virale del soggetto infetto è < 3.500 copie/ml la probabilità di trasmissione per singolo rapporto sessuale è dello 0,0001 (cioè 1 su 10.000 rapporti), mentre se la viremia è > 50.000 copie/ml, la probabilità di trasmissione diventa di 5,1 su 1.000 rapporti (3).
    - Resistenza all'infezione: per particolari caratteristiche genetiche e immunologiche alcuni individui sono particolarmente resistenti all'infezione, per cui non si contagiano anche se vengono esposti al virus (ciò è stato osservato per individui che possiedono variazioni genetiche di particolari corecettori necessari all'HIV per poter infettare le cellule).


    · Fattori legati al virus:
    - Carica virale: come detto prima, dipende essenzialmente dallo stadio dell'infezione e dalla terapia.
    - Genotipo virale: sono noti 17 genotipi diversi di HIV, e vari studi hanno dimostrato che alcuni di questi hanno una più elevata trasmissibilità per via sessuale, come per esempio il genotipo E, particolarmente diffuso in Tailandia.
    NB: Questi fattori però non possono essere conosciuti a priori, per cui bisogna sempre considerare che può bastare anche un solo rapporto per contrarre l'infezione.
    E' stato ampiamente dimostrato che il virus non è presente negli spermatozoi, ma si trova libero nel liquido seminale, oppure sotto forma di DNA provirale nel nucleo delle cellule mononucleate, anch'esse presenti nel liquido seminale. Per tale motivo è possibile ipotizzare la fecondazione artificiale nel caso di coppie discordanti, con uomo sieropositivo e donna sieronegativa. In Centri clinici specializzati viene infatti eseguito un particolare trattamento del liquido seminale, in grado di eliminare la parte potenzialmente infetta e di conservare invece gli spermatozoi, i quali vengono poi utilizzati per la fecondazione artificiale.

    Trasmissione con il sangue
    L'HIV può essere trasmesso tramite trasfusione di sangue infetto o di emocomponenti preparati con sangue di una persona infetta. Infezioni secondarie ad emotrasfusioni erano descritte soprattutto prima del 1985, anno in cui si è reso disponibile il test per lo screening dei donatori. In seguito le segnalazioni di infezioni secondarie a trasfusione di sangue sono divenute sempre più rare; a ciò hanno contribuito diversi fattori, quali lo screening dei donatori, la ripetizione del test su tutte le unità di sangue prelevate, l'abolizione dei donatori professionali e l'educazione sanitaria dei donatori, in modo che questi evitino volontariamente la donazione se hanno avuto dei comportamenti a rischio.
    Recentemente (luglio 1999) in Australia è stato riportato un caso di infezione da HIV avvenuto tramite emotrasfusione, il primo dal 1985; il sangue proveniva da una donatrice che aveva donato il sangue durante il periodo finestra. Attualmente la Croce Rossa Internazionale stima che il rischio che avvenga un contagio con queste modalità sia di 1 caso ogni 1.200.000 trasfusioni, mentre nel 1995 i CDC di Atlanta riportavano un rischio di 1 ogni 500.000 trasfusioni (Figura 8).
    Trasmissione parenterale
    La via parenterale è il modo più facile che ha il virus per poter essere trasmesso da un individuo all'altro; l'efficienza della trasmissione parenterale può infatti arrivare fino al 90%. Ciò è dovuto al fatto che il virus, arrivando direttamente nel torrente circolatorio, trova subito moltissime cellule bersaglio, rappresentate essenzialmente dalle cellule mononucleate (linfociti e monociti).
    Il fattore di rischio principale per la trasmissione parenterale dell'HIV è rappresentato senza dubbio dalla tossicodipendenza. Questa modalità di contagio è quella prevalente in Italia e in tutta l'Europa Occidentale (vedi Epidemiologia - Fig. 8). In Italia, soprattutto nelle grandi città del Nord, sono state descritte percentuali di sieropositività tra i tossicodipendenti di oltre il 60%. La trasmissione del virus tra i tossicodipendenti avviene principalmente tramite la contaminazione con sangue infetto di aghi e altri oggetti utilizzati per la preparazione della droga, i quali vengono spesso riutilizzati più volte e scambiati tra persone diverse. Uno studio condotto nel 1992, basato sull'impiego di un modello matematico costruito analizzando la presenza di HIV nel sangue residuo di siringhe utilizzate da tossicodipendenti sieropositivi, ha stimato in 1 ogni 150 iniezioni il rischio di contagio.
    Anche altre pratiche, come i tatuaggi ed il body piercing, sono a rischio per la trasmissione dell'HIV; infatti tali manovre vengono spesso eseguite da personale inesperto che ignora le corrette procedure di sterilizzazione degli aghi. Qualsiasi oggetto che superi l'integrità della barriera cutanea può essere infatti in grado di trasmettere infezioni quali l'HIV ed i virus dell'epatite, per cui tutti questi oggetti devono sempre essere adeguatamente sterilizzati.
    Esposizione accidentale
    L'HIV è un virus poco resistente all'ambiente esterno, anche se in condizioni favorevoli può sopravvivere anche per due o tre giorni. L'essiccamento provoca una riduzione della carica virale di oltre il 90% in poche ore. In caso di ferita accidentale con materiale contaminato, perchè avvenga effettivamente il contagio sono importanti vari fattori:
    - Carica virale nel sangue residuo;
    - Tipo di strumento con il quale avviene la contaminazione (per esempio una puntura con un ago cavo è più pericolosa della lesione con un ago pieno, in quanto il residuo di sangue è maggiore nel primo caso);
    - Durata del contatto e profondità della lesione;
    - Lesioni preesistenti dell'operatore e suo stato immunitario.
    Complessivamente, dopo una esposizione accidentale con sangue contaminato il rischio di contrarre l'infezione è di circa lo 0,2-0,3%.
    Trasmissione verticale
    L'HIV può essere trasmesso dalla madre al figlio. Questo può avvenire essenzialmente tramite tre modalità:
    - durante la gravidanza attraverso la placenta (20-40%)
    - durante il parto (40-70%)
    - tramite l'allattamento (15-20%)
    Per ridurre il rischio di infezione del neonato alle donne sieropositive viene solitamente praticato il parto cesareo e viene consigliato di non allattare. Uno studio, pubblicato nel 2000 su JAMA, condotto su una coorte di donne sieropositive del Kenia, ha dimostrato una riduzione fino al 44% della trasmissione verticale del virus nelle donne che non allattavano.
    Complessivamente il rischio che il neonato resti contagiato è di circa il 15-25%, ma questa percentuale è stata notevolmente ridotta (fino a meno del 5%) con l'utilizzo di profilassi farmacologica durante la gravidanza e dopo il parto.
    Il rischio di trasmissione dell'infezione varia poi in base ad altri fattori legati alla madre, quali le condizioni cliniche generali, il livello di viremia, il numero di CD4+, la concomitante presenza di altre malattie sessualmente trasmesse.
    I bambini nati da madri sieropositive nascono anch'essi sieropositivi, in quanto gli anticorpi materni che identificano la sieropositività passano nel sangue del neonato durante la gravidanza. Poi, se il bambino non ha contratto l'infezione, questi anticorpi materni pian piano vengono smaltiti, per cui il bambino "diventa" sieronegativo. Se invece il bimbo ha contratto l'infezione, allora inizia a produrre anticorpi propri e quindi "resta" sieropositivo. Altra conferma della avvenuta infezione si può avere con la determinazione della carica virale (HIV-RNA).
2095 replies since 16/1/2006
.